Volevano ammazzare il Cnel, ma è il Cnel è vivo più che mai. Forse troppo, se è vero che al suo interno i vertici se le suonano di santa ragione, seppure con garbati modi istituzionali. Il superamento della prova di sopravvivenza (il flop del referendum costituzionale del 4 dicembre) ha risvegliato l’orgoglio del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, tanto che adesso si registra una rinnovata fibrillazione tra richieste di reintrodurre indennità per i consiglieri, ambiziosi propositi di autoriforma e battaglie in difesa dell’autonomia. D’altronde, dalle parti di Villa Lubin sentono di aver contribuito a dare la spallata a Matteo Renzi, il loro denigratore per eccellenza. E questo non dispiace affatto ai più.
DOPO IL REFERENDUM
All’indomani della vittoria dei No alla riforma costituzionale, ci si è subito riuniti per ragionare sulla cosiddetta autoriforma del Cnel, con l’obiettivo di aggiornare la legge ordinaria del 1986 che regolamenta il funzionamento dell’organo. Il 31 gennaio l’Assemblea ha unanimemente deciso di avviare le procedure per la presentazione del disegno di legge con il quale il Cnel punta – si legge nel comunicato – a diventare “l’Istituto certificatore del grado di rappresentatività nazionale delle organizzazione sindacali e datoriali nel settore privato”. Insomma, un’ambizione non da poco. Nel frattempo vengono a galla vecchie vicende, come l’accusa a 15 ex consiglieri di aver distribuito consulenze d’oro per 800mila euro in barba alle procedure; per marcare ulteriormente il cambio di passo rispetto al passato, l’attuale Assemblea ha addirittura stabilito di andare in causa contro i vecchi colleghi considerati spreconi e inefficienti.
PROVE DI SILURAMENTO DEL SEGRETARIO
In casa Cnel però c’è chi forse sperava in un esito referendario diverso. E’ il caso del segretario generale Franco Massi, magistrato della Corte dei conti e pure vicesegretario generale al Ministero della Difesa. Massi è entrato in rotta di collisione con il presidente del Cnel Delio Napoleone (nella foto), il quale nei giorni scorsi (venerdì 10 febbraio) ha vergato una mail stringata in cui comunica ai consiglieri che “il rapporto di fiducia e di leale collaborazione (con il segretario generale, ndr) è venuto meno”, dichiarando di averne chiesto “le dimissioni immediate” dal ruolo, richiesta questa confermata qualche giorno prima anche dall’ufficio di presidenza dell’organo.
Che avrebbe fatto di così male Massi per attirarsi le ire dei vertici di Villa Lubin? Secondo il vicedirettore di Libero Franco Bechis, e secondo altre fonti sentite da Formiche.net, ci sarebbe (condizionale d’obbligo) proprio Massi dietro un emendamento spuntato al Senato durante la discussione del Milleproroghe e presentato dalla senatrice fittiana Cinzia Bonfrisco, emendamento che in sostanza trasferiva buona parte di competenze, dotazione organica e relativi trasferimenti dal Cnel alla alla Corte dei conti, l’organo di magistratura contabile al quale è molto legato il segretario Massi, come si evince dal suo curriculum. Ma l’emendamento è stato giudicato inammissibile.
SCAZZOTTAMENTO AI VERTICI
Il famigerato emendamento non è passato, dunque il Cnel è salvo, ma ai suoi vertici se le sono suonate di santa ragione. Come detto, venerdì 10 il presidente Napoleone ha chiesto via mail al segretario Massi di dimettersi, dopo un colloquio avuto tre giorni prima e dopo l’avvallo dell’ufficio di presidenza. Il giorno prima, giovedì 9, Massi aveva scritto a sua volta un messaggio di posta elettronica al numero uno di Villa Lubin rammentandogli – con tanto di documenti alla mano – che “il rapporto fiduciario non è richiesto dalle vigenti norme nei confronti del Presidente del Cnel, che viene soltanto ‘sentito’ da chi propone la nomina al Capo dello Stato, cioè il Presidente del Consiglio dei Ministri”. Tradotto, Napoleone non può protestare se manca questa fiducia. Inoltre, continua Massi, “la ‘leale collaborazione’ (che gli è stato imputato di non avere messo a frutto, ndr) è stata sempre e comunque assicurata dallo scrivente, che opera al solo fine di assicurare la continuità dell’azione amministrativa del Cnel”.
“RIPRISTINARE INDENNITÀ E RIMBORSI”
Nel frattempo, rincuorati dalla vittoria referendaria, la settimana scorsa alcuni consiglieri del Cnel hanno chiesto ufficialmente al presidente Napoleone di “ripristinare l’indennità ed i rimborsi delle spese afferenti alle convocazioni ufficiali (Assemblea, Presidenza, Commissioni), ingiustamente soppressi dalla Legge di Stabilità 2015, perché solo in questo modo sarà consentito ai Consiglieri di adempiere serenamente ai propri compiti istituzionali”. “Non è pensabile, né giuridicamente ammissibile – scrivono i firmatari – che i componenti di un Organo di rango Costituzionale debbano non semplicemente rinunciare a qualunque compenso, ma addirittura autofinanziarsi le trasferte per poter svolgere le funzioni che la legge gli attribuisce nell’interesse della collettività”. Pertanto, dato che il referendum ha confermato l’art. 99 della Costituzione, occorre cancellare quanto fatto dalla Legge di Stabilità 2015 che ha azzerato i fondi per il funzionamento dell’Assemblea del Cnel, per il quale è stata ribadita “la rilevanza strategica delle funzioni demandate all’Ente ed il suo ruolo di centro nevralgico delle riforme strutturali necessarie al Paese”. E’ giunto il momento, aggiungono, “che il Governo e le Istituzioni tutte prendano atto dell’esito del referendum; che si avvedano che il CNEL, lungi dall’essere, come purtroppo più volte apostrofato, un “Ente inutile”, è stato semplicemente un Ente del quale non sono state comprese a fondo le grandi potenzialità”.