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Perché il Pd si sta squassando. Parla Calogero Mannino

Quello cui stiamo assistendo nel Pd è il frutto di un enorme vuoto nel principale partito della sinistra italiana: quello di aver saltato il passaggio socialdemocratico. Il fatto che nel nostro Paese il Pci non si sia mai evoluto in un grande partito socialdemocratico è un vulnus che ora sta scontando il partito di Renzi”. Calogero Mannino, ex Dc più volte ministro, pezzo grosso della sinistra della Balena Bianca, riflette sulla situazione politica seduto su un divanetto del Transatlantico di Montecitorio. Davanti a lui ci sono frenetici capannelli di parlamentari a raffigurare l’immagine di un Pd sull’orlo della scissione.

Mannino ne ha passate tante, comprese vicende giudiziarie da cui è stato completamente assolto, e può permettersi qualche giudizio da vecchio saggio della politica, condito da una verve palermitana che non gli fa difetto. “Ds e Margherita hanno unito i loro apparati, forse anche i loro popoli, ma scontano sempre quel vulnus. Gli altri Paesi europei hanno avuto tutti un forte partito socialista e molti ancora ce l’hanno. Noi no. Questo perché D’Alema e Veltroni non hanno accettato il giudizio della storia: la sconfitta del comunismo porta con sé l’accettazione del socialismo. Ma in Italia socialismo equivale a Bettino Craxi, che la sinistra per anni ha demonizzato e ancora continua a farlo. I leader del Pd non hanno mai accettato che Craxi aveva ragione e Berlinguer torto. Questo è il principale motivo per cui da noi la socialdemocrazia non si è mai affermata”, spiega Mannino.

Tutto, naturalmente, secondo l’ex ministro democristiano, parte con Tangentopoli e la crisi della Prima Repubblica. “La fine di Dc e Psi, ma anche degli altri piccoli partiti, ha generato un vuoto politico enorme che si sarebbe dovuto colmare con la genesi di una grande forza socialdemocratica, invece è stato riempito da Berlusconi. Che poteva inizialmente avere qualche appeal, ma poi, tra il fatto che voleva comandare solo lui e la mancanza di una classe dirigente adeguata, il suo progetto di rivoluzione liberale è fallito. Oggi però siamo messi peggio, perché almeno la prima Forza Italia un barlume di idea di società ce l’aveva, i Cinque Stelle, invece, non hanno nulla e lo stiamo drammaticamente vedendo a Roma: sono il primo movimento politico senza avere idea un modello di Stato e di società da proporre”, sostiene Mannino.

E a sinistra? “Lì c’è stato il vuoto, che non è stato colmato da Veltroni e nemmeno dalla nascita del Pd, dove gli ex Pci hanno imbarcato gli ex Dc che gli facevano comodo. Un vuoto che Renzi ha provato a colmare con l’energia e la vitalità: due qualità unitili se non c’è un progetto, se non ci sono idee, se non si studia per trovare le soluzioni, se non capisci quello che ti accade intorno. Renzi di idee non ne ha, è un boy scout, la sua unica intuizione positiva è aver portato il Pd dentro l’Internazionale Socialista. E così siamo arrivati allo scontro di oggi tra lui e la minoranza del partito, che non accetta di aver perso le redini della Ditta”.

Insomma, il fallimento del Pd deriva dal salto della socialdemocrazia. “Qui occorre toccare un punto delicato: la personalità e la storia di Berlinguer. Lui è cresciuto in una famiglia di tradizione massonica ed al tempo stesso vi era una componente cattolica: dalla prima ha preso il diprezzo aristocratico, dalla seconda l’esigenza moralistica. Berlinguer è diventato anti-sovietico, non anti-comunista. Il Pci ha sempre odiato i socialisti, è nato a Livorno contro il socialismo di Turati e Treves e con l’arrivo di Craxi, autonomista senza condizioni e debolezze, ancora di più. Bettino ha anche tentato disperatamente nerll’83 di convincere Berlinguer a fare un governo insieme, invano. Allora Berlinguer prediligeva Visentini. Se ci fosse riuscito, le cose in Italia, e a sinistra, sarebbero andate diversamente…”.


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