Non è certo una medaglia per lo Ior. E costituisce una novità. A seconda di come la si guardi, la condanna per violazione della normativa antiriciclaggio inflitta dal tribunale di Roma all’ex dirigenza della banca vaticana è una tegola all’istituto del passato, ma anche un avvertimento sul rischio che ancora può correre la gestione delle finanze vaticane.
LA SENTENZA
Per violazione delle norme antiriciclaggio, Paolo Cipriani e Massimo Tulli, rispettivamente direttore e vice dello Ior fino al luglio 2013, sono stati condannati a 4 mesi e 10 giorni di arresto e al pagamento di un’ammenda di seimila euro. Cipriani e Tulli hanno ottenuto la sospensione della pena e le attenuanti generiche. Il giudice monocratico del tribunale di Roma, Luca Ghedini Ferri, ha riconosciuto gli illeciti per tre operazioni bancarie avvenute nel 2010, assolvendo i due imputati, perché i fatti non sussistono, per altri sei episodi. Compreso il più grave loro contestato: la movimentazione di 23 milioni di euro passati dal Credito Artigiano alla Jp Morgan Frankfurt (20 milioni) e alla Banca del Fucino (3 milioni). Come nota la rubrica Parterre del Sole 24 Ore, è “la prima volta in Italia che dirigenti dello Ior sono stati condannati per violazione delle norme antiriciclaggio”.
LA VICENDA
L’indagine su operazioni ritenute sospette era culminata nel settembre 2010 nel sequestro di quei 23 milioni di euro per i quali oggi Cipriani e Tulli vengono però assolti. “La segnalazione che genera le indagini – ricostruisce Gianluigi Nuzzi nel libro Sua Santità – parte dallo stesso Credito Artigiano perché le operazioni sono state istruite senza l’indicazione dei clienti per conto dei quali erano state disposte e senza i riferimenti agli scopi delle stesse”. La Banca d’Italia dispone un’ispezione, quindi segnala alla Procura le presunte irregolarità. Cipriani e Tulli vengono coinvolti nell’inchiesta: sono loro, come direttore e vice della banca, ad avere firmato l’ordine di trasferimento. L’allora portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, definì la vicenda un equivoco. Si tratta di un’operazione di cassa per un investimento in bund tedeschi. Insomma: un semplice giroconto. Intanto a fine 2010 entrano in vigore le norme antiriciclaggio volute dall’allora presidente Ior, Ettore Gotti Tedeschi. E in giugno la Procura dispone il dissequestro dei 23 milioni.
IL RUOLO DI GOTTI TEDESCHI E L’ELOGIO DEI GIUDICI
Anche Gotti Tedeschi viene indagato. Ne uscirà presto: saranno gli stessi pm a chiedere l’archiviazione del procedimento nei suoi confronti e il tribunale ad accordarla, nel febbraio 2014. Nel provvedimento non emerge solo la totale estraneità del professore piacentino, che non aveva nessuna delega operativa. Scrivevano i pm: “È un dato oggettivo che l’attività del prof. Gotti Tedeschi come presidente dello Ior è stata essenzialmente orientata a dar vita ad una nuova policy dell’istituto nel quadro dell’adozione di un insieme di misure miranti ad allineare lo Stato della Città del Vaticano, sul versante del contrasto al riciclaggio, ai migliori standard internazionali”. Un elogio dei magistrati nei confronti del banchiere, che citano il suo impegno per la trasparenza che ha come frutto proprio la legge antiriciclaggio del 2010.
IL RINVIO A GIUDIZIO DELLA DIRIGENZA
Cipriani e Tulli vengono rinviati a giudizio. I pm rimarcano “il carattere tutt’altro che episodico” del trasferimento milionario. C’è un’accusa a come si muove la dirigenza operativa dello Ior. Nel corso dell’indagine vengono identificati altri trasferimenti sospetti. Quelli che oggi sono stati oggetto della condanna riguardano tre bonifici di importi ben più modesti rispetto ai 23 milioni. I due ex dirigenti avrebbero omesso alla Jp Morgan informazioni sullo scopo e la natura di operazioni riguardanti il trasferimento di 120 mila, 100 mila e 48 mila euro. Mentre Gotti Tedeschi il 24 maggio 2012 veniva sfiduciato dal board della banca e cacciato d’intesa con la Segreteria di Stato (allora retta dal cardinale Tarcisio Bertone), Cipriani e Tulli restano in sella fino al luglio 2013, quando si dimettono. Con il nuovo presidente, il tedesco Ernst Von Freyberg (nella foto), all’inizio i rapporti sono buoni. Il neopresidente, nominato pochi giorni prima dell’abdicazione di Benedetto XVI, dichiarava in maggio 2013 al Corriere della Sera: “Il direttore generale, Paolo Cipriani, il vicedirettore, Massimo Tulli e io, costituiamo un buon team. Lavoriamo insieme in modo veramente felice”.
Della defenestrazione di Gotti scriveranno i magistrati nel 2014 che si tratta di “accuse infondate e palesemente strumentali, avanzate al fine di rimuoverlo dal suo incarico”. Perché, precisava il Tribunale capitolino, era del tutto fondata la ritrosia e la diffidenza manifestate dall’ex presidente nel cooperare con un “management poco affidabile e artefice di gravi illeciti”. Era il marzo 2014. A luglio si dimette anche von Freyberg. Un altro, repentino benservito?
MACCHIE SULLO IOR
Nella loro requisitoria del 20 gennaio scorso, i pm Stefano Rocco Fava e Stefano Pesci chiedevano un anno per Cipriani e dieci mesi per Tulli. Richiesta non accolta dal giudice. Ma soprattutto non lascia indifferente il profilo dato dello Ior, che “storicamente si è sempre relazionato con le banche italiane senza spiegare alle stesse che cosa realmente accadesse lì, senza fornire mai alcuna informazione”. Un istituto, dice Fava, “visto come un luogo dove nascondere denaro di provenienza illecita. E se non adempie a una serie obblighi normativi, ancora oggi non può avere rapporti con le banche italiane”. Il fulcro della requisitoria ruota intorno al trasferimento di quei 23 milioni nel 2010 – accusa per la quale i due ex dirigenti sono stati assolti –, ma fotografa una situazione dove non mancano conti intestati a laici, senza nessun rapporto con la Santa Sede, aperti da imprenditori o professionisti italiani che avevano interesse a “rapporti remunerativi, legati a investimenti titoli e a un’aspettativa di beneficiare di un certo rendimento”. Dati – notavano i pm – che provengono dalla documentazione fornita dal Vaticano a seguito di rogatoria avviata dall’Italia. Il pm fa in particolare il nome di Angelo Proietti, che ha patteggiato una bancarotta per il fallimento di una sua società “e che ha ancora conti presso il Vaticano”. La stessa magistratura vaticana, nel maggio scorso, ha provveduto a sequestrare i conti dell’imprenditore edile aperti oltretevere. Conti al di là di Porta Sant’Anna ne ha avuti, fino al 2010, anche il banchiere Giampietro Nattino, indagato dal Vaticano, e dalla Procura di Roma in un altro procedimento, insieme ad altri due ex funzionari vaticani, questa volta presso l’Apsa. Tutti e tre sono indagati per manipolazione del mercato e ostacolo alle funzioni di vigilanza della Consob.
SISTEMA IOR?
Nella sua requisitoria di gennaio, il pm Fava, rileva come “gli imputati, scientemente, non hanno fornito alcuna informazione alle banche, nel rispetto di una precisa ‘mission’ aziendale che partiva dall’azionista di riferimento, non certo dal presidente dell’Istituto che ricopriva una carica solo formale”. Riferimento all’allora numero uno, Gotti Tedeschi, che alla Procura di Roma e poi in udienza in qualità di testimone, ha raccontato di essersi scontrato con la proprietà e alcuni dipendenti della banca che avevano una visione diversa dalla sua. In particolare con l’allora segretario di Stato, cardinal Bertone.
GLI AVVOCATI ANNUNCIANO APPELLO
Il collegio difensivo di Cipriani e Tulli in una nota rimarca come la condanna si riferisca a operazioni di importanza minima rispetto a quella principale per cui sono stati mandati a processo e ora dichiarati non colpevoli i due ex dirigenti, ovvero la movimentazione dei 23 milioni di euro che per i giudici è stata effettuata nel pieno rispetto delle regole. Gli avvocati annunciano quindi l’appello “alle ipotesi per cui non vi è stata assoluzione”.