La mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 Stelle contro il ministro dello Sport Luca Lotti per il suo coinvolgimento nell’inchiesta Consip è una pistola carica puntata alla tempia del governo Gentiloni. Non tanto per i numeri, perché che passi è praticamente impossibile, ma perché potrebbe essere la leva su cui pezzi della maggioranza faranno pressione per determinare le scelte del governo. Quando è stata presentata, la settimana scorsa, sembrava che la mozione fosse questione di vita o di morte e viaggiasse su una corsia preferenziale dell’agenda parlamentare. Ora invece si è premuto sul pedale del freno: la mozione non verrà votata questa settimana, forse la prossima. Come ancora non si è capito se e quando il ministro andrà in Aula a dare spiegazioni, come molte forze politiche chiedono, anche all’interno della maggioranza.
I numeri, dicevamo, al momento ci sono perché, se non ci saranno franchi tiratori, la maggioranza a Palazzo Madama viaggia sui 173 voti, ben oltre la quota di sicurezza di 160. Chiaramente decisivi sono i 14 senatori di Democratici e progressisti, il nuovo gruppo formato dagli scissionisti del Pd. Bersani & C. al momento sono divisi: se ufficialmente lasciano trapelare che voteranno la fiducia a Lotti, dall’altra emergono anche diversi maldipancia. Alcuni, infatti, tra cui Felice Casson e Miguel Gotor, sono tentati di appoggiare la mozione grillina. Loro e altri hanno chiesto espressamente al ministro di farsi da parte prima del voto su di lui, per evitare ulteriori imbarazzi all’esecutivo. Per capire il paradosso basti guardare alla senatrice Cecilia Guerra, che da una parte annuncia di votare contro la sfiducia, ma poi precisa che presenterà un documento critico verso il ministro.
I voti mancanti, però, dovrebbero essere sostituiti da quelli di Forza Italia. Silvio Berlusconi e Paolo Romani hanno chiaramente detto che i parlamentari azzurri (42 sono i senatori di Fi) non hanno mai votato una sfiducia individuale a un ministro e non inizieranno a farlo adesso. Certo è che per Renzi, ma pure per Gentiloni, sarebbe preferibile che Lotti fosse “salvato” con i voti “aggiuntivi” e non “decisivi” di Forza Italia. Al momento, però, questo non è dato saperlo. Ciò che si sa, invece, è che l’appoggio a Lotti da parte di Mdp non sarà gratis. Il neo partito degli ex-Pd vogliono far pesare la loro golden share sull’esecutivo che, senza di loro, a Palazzo Madama non ha i numeri nemmeno per far approvare il Def. Conti alla mano, 173 meno 14 uguale 159: ben al di sotto la soglia di sicurezza per l’esecutivo. Che per tornare ad essere maggioranza dovrebbe fare appello ai 16 senatori di Ala, il gruppo di Denis Verdini che è fuori dal perimetro del centrosinistra, ma spesso vota pro esecutivo. Inoltre dovrebbero essere pure sicuri tutti i voti dei 19 senatori delle Autonomie e parte di quelli di Gal (14). Insomma, senza gli scissionisti Pd il governo a Palazzo Madama rischia e Gentiloni non può dormire sonni tranquilli.
Poi va aggiunto il peso di Mdp nelle commissioni: non una cosa sconvolgente, ma ad esempio i 2 senatori alla Affari costituzionali, e 1 alla Giustizia insieme a 1 nella Bilancio possono essere ingombranti e mettere seriamente i bastoni tra le ruote alla maggioranza. Su questo Bersani & C. faranno valere le loro istanze. A ribadirlo è stato lunedì Massimo D’Alema. “Occorre finanziate la legge contro la povertà, poi bisogna approvare lo ius soli e correggere le norme sul lavoro, in primo luogo i voucher”, ha detto l’ex ministro degli Esteri. Che poi vuole vederci chiaro anche sui numeri del Def e della manovra aggiuntiva. “Voglio capire bene dove verranno presi i 3,4 miliardi di euro che mancano…”.
Fonti grilline, infine, sussurrano che già da martedì pomeriggio i personaggi più in vista del movimento ricominceranno a soffiare sul fuoco della mozione, spingendo per calendarizzarla il più presto possibile e denunciando tutti i tentativi di tirarla per le lunghe. Il pressing grillino riprenderà tirando in ballo anche l’ex premier sul presupposto che “non poteva non sapere”. “La vicenda Consip ha avuto il merito di spostare l’attenzione sul governo disinnescando il fuoco dei media dalle disgrazie di Virginia Raggi. E infatti il movimento di Grillo, dopo qualche giorno di appannamento, nei sondaggi è tornato a veleggiare sul 28%”, fa notare un deputato del Pd. Un dato che fa ancora più scalpore se rapportato al 22-24% attribuito al Pd dopo la scissione. L’M5S è tornato di gran lunga a essere il primo partito d’Italia. Con buona pace di Renzi e Gentiloni. Ma pure di Bersani e D’Alema.