Ci siamo stancati di leggere sentenze “copia-incolla” delle varie Corte dei Conti Regionali volte a respingere i ricorsi che tentano di opporsi alle norme legislative relative alla mancata o parziale perequazione delle pensioni over 3 volte il minimo Inps, negli anni dal 2012 in poi. E siamo arrivati all’anno 2017!
Siamo stanchi di leggere pagine su pagine di affermazioni che – si tratti della difesa dell’Inps o del parere del giudice di merito – ripetono stancamente le solite litanie.
Il riferimento, questa volta, è alle sentenze n° 7 e 8/2017 C della C.Conti della Basilicata (Giudice monocratico dott. Massimo Gagliardi), che respingono i ricorsi della FEDERSPeV contro la mancata rivalutazione delle pensioni tra 3 e 6 volte il minimo INPS (sentenza n°7) e superiori a 6 volte il minimo INPS.
Le 2 sentenze sono identiche, pur se cambiano i ricorrenti e pur se l’entità pensionistica degli stessi varia da 1504 euro/lordi/mese a oltre (anche ben oltre) 3000 euro lordi/mese.
GLI ELEMENTI ESSENZIALI DEI RICORSI
I 2 ricorsi, affidati allo Studio Tomassetti di Roma, si basavano su elementi noti.
Le leggi 147/2013 (art.1,c.483) e 109/2015 (art.24, c. 25 e 25 bis) violano una serie di norme costituzionali (es. artt. 36, primo comma e 38, secondo comma) e contrastano con parecchie sentenze della C. Costituzionale, tra cui:
-226/1993 (non sopportabile scostamento tra pensioni e retribuzioni);
-348 e 349/2007;
-316/2010 (“la frequente reiterazione delle misure tese a paralizzare la perequazione esporrebbe il sistema a ledere i princìpi di ragionevolezza e proporzionalità…” ex articoli 36 e 38 sopra citati”);
-70/2015.
Tutto ciò determina un meccanismo perequativo irragionevole, ingiustificato e sproporzionato in violazione delle stesse statuizioni della Consulta (316/2010 e 70/2015), di una serie di norme costituzionali (art.136, 117, 38, 36, 3, 2) e dell’art.6 della CEDU ed art.1 del Protocollo CEDU. La perequazione così strutturata, insomma, assume la natura sostanziale di norma tributaria, in violazione degli art. 2, 3, 23 e 53 della Costituzione, a valere per gli anni 2012-2018, in quanto posta a carico di una sola categoria di contribuenti. Da ciò la violazione dei citati articoli della Costituzione.
LA MEMORIA DELL’INPS
Si tratta di una memoria “standard”, che ritiene che “le doglianze di parte ricorrente sono del tutto destituite di fondamento”. Secondo l’INPS solo le fasce pensionistiche piu’ basse (1-3 volte il minimo INPS) vanno totalmente tutelate dall’erosione indotta dall’inflazione. Sostiene, l’INPS, che la perequazione automatica è uno strumento di natura tecnica, volto a garantire nel tempo l’adeguatezza e la sufficienza della pensione (art.38, c.2 ed art.36 della costituzione). Spetta al legislatore – in modo discrezionale – modificare detta tecnica, rispettando i 2 articoli citati della costituzione, in modo da “dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico, alla segua delle risorse finanziarie attingibili…”(sentenza 316/2010). Inoltre, per l’INPS, la “richiesta non può avere valore retroattivo, perché – se così fosse – non sarebbero rispettati gli obiettivi di finanza pubblica, ex art. 81-quarto comma – della costituzione. Pertanto: la parte ricorrente non ha diritto ad alcun rimborso o riliquidazione”.
DIRITTO
La legge 109/2015 non è incostituzionale (“ la questione non ha fondamento”). Infatti essa “dà attuazione ai principi enunciati nella sentenza della C. Costituzionale 70/2015 nel rispetto del principio dell’equilibrio di bilancio e degli obiettivi di finanza pubblica, assicurando la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche a salvaguardia della solidarietà intergenerazionale…”.
Nei fatti, il Signor Giudice ha ripreso una sua precedente sentenza (46/2016)….senza modificarla di una parola. Inoltre, secondo Lui, la legge 109/2015 si pone “nel contesto della disciplina corrente della perequazione automatica, che prevede a regime una copertura decrescente…(pag.10)…….appare non irrazionale – nella difficile condizione economica del Paese – il richiedere un temporaneo maggiore contributo ai fruitori di maggiore importo, ai quali la sospensione degli aumenti perequativi, poiché temporanea e di limitata misura, non potrà arrecare una importante lesione né del diritto ad una prestazione previdenziale proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, né al diritto ad una prestazione adeguata ad un’esistenza libera e dignitosa (art.36,c.1 e 38,c.2 della costituzione). Le pensioni di maggior importo presentano infatti margini di resistenza all’erosione determinata dal fenomeno inflattivo (C.Costituz. n° 316/2010)….(pag.11 )”.
Il giudice, inoltre, cita le solite cose: l’applicazione integrale della Sentenza 70/2015 della Consulta avrebbe provocato un buco nel bilancio pubblico (17,6 mld nel 2015 e 4,4 mld nel 2016) facendo passare l’indebitamento netto tendenziale dal 2,5 al 3,6% del PIL.
La legge di Renzi (109/2015), per salvare il bilancio pubblico, avrebbe ridato agli interessati “meno del 12% del totale” (pag.12)…”attribuendo oltre 2/3 del recupero ai pensionati con classe tra i 3 e 4 volte il minimo INPS”. Tutto cio’, secondo Lui, è possibile per la “discrezionalità del legislatore…ad apporre correttivi…in modo conforme ai principi costituzionali…”.
Ma c’è di più: “Questo giudice deve ancora osservare che il rispetto dei parametri citati è fatalmente connesso con l’allungamento della speranza di vita….secondo una imperativa motivazione di interesse generale….Si è dunque in presenza…di un prelievo eccezionale che non colpisce l’intera platea dei pensionati ma pone opportuni calibrati ,vincoli all’interno della stessa, secondo criteri non arbitrari di di tipo reddituale e sempre nell’ottica della salvaguardia delle fasce piu’ deboli…(pag.13). Pertanto l’ordinamento giuridico non postula una tutela dell’affidamento in ordine alla immutabilità del trattamento pensionistico, se non nei casi residuali in cui la riduzione dello stesso sia tale da violare il canone di un’esistenza libera e dignitosa…”.
Non solo, ma il legislatore “non può essere indifferente all’esigenza di garantire la sostenibilità del sistema previdenziale e nel rispetto del principio solidaristico (più che del mero rapporto di corrispettività tra contributi e pensioni) segnatamente in un momento di profonda crisi sistemica” (pag.13).
Non solo, ma “..in un quadro di eccezionale difficoltà di tenuta del sistema previdenziale ben può ritenersi più armonico con esso il connotato di provvisiorietà della sospensione della perequazione, tanto più che il predetto meccanismo si limita a porre un contributo solo a carico di coloro che fruiscono di una prestazione previdenziale più elevata , essendo stati titolari di un regime, al tempo, più favorevole…” (pag.14).
In definitiva , la questione di costituzionalità è “manifestamente inammissibile”.
CONSIDERAZIONI SPICCIOLE MA PESANTI
Siamo troppo scafati e vaccinati, per non sapere che i magistrati sono permalosi. Ma, con il rispetto dovuto al loro ruolo e con la consapevolezza che anche chi scrive ha un ruolo preciso a tutela di un cospicuo gruppo di pensionati, ci permettiamo di dire.
1) Che siamo stanchi di sentenze che non entrano nella sostanza dei problemi e danno per scontate troppe “verità” che verità non sono.
2) Il bilancio previdenziale dell’INPS è in pareggio, non in deficit. Lo dicono importantissimi studi economici del 2015-2016, mai smentiti.
3) Il bilancio assistenziale dell’INPS è in deficit, perché i Governi hanno caricato l’INPS di prestazioni assistenziali prive di copertura.
4) Il Presidente dell’INPS ha dichiarato che l’Istituto è creditore (dallo Stato) di circa 90 miliardi.
5) Il bilancio dello Stato supera gli 800 miliardi di euro. E’ mai possibile che, per rispettare l’art.81 della Costituzione ci si debba rivalere sui pensionati con pensioni superiori a 3 volte il minimo INPS?
6) Non è colpa dei pensionati se la spesa pubblica continua ad aumentare, nonostante il carico fiscale, e se il debito pubblico (nonostante le rapine ai pensionati) continua a crescere.
7) Comunque la pensino certi magistrati, la mancata rivalutazione delle pensioni e il contributo di solidarietà sono una tassa di scopo, che è stata applicata solo ai pensionati e non ai lavoratori attivi, a parità di reddito.
8) Non si possono considerare temporanee ed eccezionali misure pluriennali. Dal 2012 al 2018, la mancata perequazione. Dal 2014 al 2016 per il contributo di solidarietà. Con un danno economico non transitorio ma permanente, perché la mancata rivalutazione avra’ effetti deleteri su tutta la vita pensionistica.
9) Le frasi citate tra virgolette dimostrano che anche questo magistrato non ha letto e meditato le tante tabelle (elaborate dalla Federspev e dal Gruppo dei Leonida) che quantificano con precisione il danno economico fatto a tante fasce pensionistiche, negli anni citati. Se le avesse viste e meditate, forse avrebbe usato espressioni diverse da quelle presenti nelle pagine 12-13-14 della sentenza.
10) Le regole pensionistiche dovrebbero subire poche modifiche. Ed invece sono cambiate almeno 20 volte negli ultimi venti anni. Così come si è ripetutamente scelto di tartassare i pensionati INPS, negli ultimi 27 anni, con giustificazioni “stiracchiate”. Perché? Perché colpire i pensionati è molto più facile che far pagare correttamente le tasse a tutti i lavoratori attivi.
11) Ed infine, le “pensioni INPS-INPDAP”, quelle pubbliche – che sono state e continueranno ad essere salassate – non sono una “regalia del signorotto di turno”, ma una retribuzione differita, che rappresenta un risparmio obbligato, cui i lavoratori pubblici tutti sono stati costretti, mese dopo mese di lavoro. Chi sarebbe stato “titolare di un regime più favorevole ?” (pag.14 della sentenza della C.C. Basilicata)? E sulla base di quali documenti un giudice può permettersi queste affermazioni?
12) Il bilancio dello “stato” è sacro (art.81 della Costituzione, impostoci dalla U.E.) ma va tutelato dal governo di turno adeguando le spese alle entrate, razionalizzando le spese, colpendo l’evasione fiscale, tassando in modo uguale pensionati e lavoratori attivi, a parità di reddito, ed evitando di delegare ai giudici un ruolo “tecnico-tributaristico” improprio.
13) Comunque sia. Pur se con sentenze contrarie, a livello regionale e nazionale, Noi continueremo a tutelare i nostri pensionati. Ricorrendo alla CEDU, se non riusciremo ad aver ragione in Italia. Lo abbiamo già fatto (13/01/2017) e lo faremo ancora. Impugnando tutte le sentenze regionali contrarie, chiedendo un ulteriore parere ai giudici nazionali e sperando che, almeno, la CEDU possa rimettere le cose a posto.
14) Ci sarà pure un giudice, a Strasburgo!