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Così le toghe giudicano la salita in politica di Grasso e Ingroia

La prescrizione, la lunghezza dei processi, la riorganizzazione dei tribunali, le pendenze arretrate e l’efficienza della macchina giudiziaria: come tutti gli anni questi argomenti hanno tenuto banco nella giornata dell’inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione, alla presenza delle massime autorità dello Stato, a partire da Giorgio Napolitano e Mario Monti. Ma c’è un tema che la vicinanza delle elezioni ha reso più effervescente del solito: quello dei magistrati che si impegnano in politica. Dopo che Piero Grasso e Antonio Ingroia hanno lasciato la toga (definitivamente il primo, in aspettativa il secondo) per candidarsi alle elezioni, è diventato di fatto unanime il coro di chi chiede regole più stringenti per il passaggio da un ruolo all’altro.

Il primo presidente della Cassazione, Ernesto Lupo, ha bacchettato la politica, visto che “in decenni il legislatore non è riuscito ad approvare” una riforma, “nonostante l’evidente necessità di impedire almeno candidature nei luoghi in cui è stata esercitata l’attività giudiziaria e di inibire il rientro, a cessazione del mandato parlamentare, nel luogo in cui si è stati eletti”. Ci sono “comportamenti, prese di posizione, scelte individuali, pur formalmente legittimi, che hanno ricadute pubbliche – ha osservato – che rischiamo di coinvolgere la stessa credibilità della giurisdizione”. Per il procuratore generale Gianfranco Ciani, quando i magistrati scelgono la “diretta partecipazione alla competizione politica non è agevole sottrarsi alle critiche di chi lamenta la strumentalizzazione della funzione giudiziaria”. Il legislatore, è l’appello lanciato dal pg, “nel pieno rispetto di diritti costituzionalmente garantiti, intervenga per disciplinare tali situazioni”.

In piena sintonia le opinioni del ministro della Giustizia, Paola Severino, e del vicepresidente del Csm, Michele Vietti. “Ci sono già leggi sul cuscinetto da creare tra due funzioni”, ha osservato la guardaisigilli, secondo la quale si tratta di rendere ancora più corposo il distacco fra l’esercizio di una funzione e l’esercizio dell’attività politica, prima e dopo”. Anche secondo Vietti c’è “l’esigenza di mettere dei paletti più stringenti alle candidature dei magistrati, quanto meno sulle incompatibilità”.

Severa la posizione sul tema di Valerio Spigarelli, presidente dell’Unione delle Camere penali, che ha legato il tema a uno dei principi cardine dell’ordinamento: “E’ vano – ha affermato – continuare a parlare del problema senza prendere in considerazione la questione dell’obbligatorietà dell`azione penale: un feticcio su cui non si vuole dibattere, ma che provoca una disparità di trattamento tra i cittadini, poiché consente l`arbitrio ai pm i quali possono far marciare i processi a seconda delle loro personali scelte, magari finalizzate a costruirsi successive carriere politiche”.



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