Gli Stati Uniti hanno lanciato una salva di 59 missili da crociera contro una base aerea siriana. Si tratta della prima volta che Washington attacca la Siria, ed è una rappresaglia per l’attacco chimico che martedì ha ucciso oltre settanta persone vicino a Idlib, di cui gli americani ritengono responsabile il regime di Bashar el Assad.
Il presidente Donald Trump, che si trova in Florida, nella residenza di Mar-a-Lago, per un incontro con il presidente cinese Xi Jinping, ha ricevuto nella serata di giovedì la visita operativa del capo del Pentagono Jim Mattis. Da lì, una volta ricevuti i potenziali piani d’attacco contro il governo di Damasco, ha deciso di agire. D’altronde il CentCom, comando del Pentagono che si occupa di Medio Oriente, ha già pronti da anni i programmi militari per colpire il rais siriano.
(RAID USA IN SIRIA. ECCO FOTO E VIDEO)
L’attacco è stato lanciato tramite due cacciatorpediniere americani – “USS Ross” e “USS Porter”, del gruppo da battaglia della portaerei “USS Bush” – che si trovano nel Mediterraneo orientale. Sotto i Tomahawk è finita la base di Shayrat, nei pressi di Homs, che secondo le informazioni di intelligence americane sarebbe quella da cui sono partiti i (o il) velivoli “ad ala fissa”, come aveva anticipato un funzionario alla Nbc, responsabili del raid chimico. Nella base sarebbe stato presente anche personale russo (e dunque Mosca sapeva che i caccia siriano stavano decollando con a bordo armi chimiche): Washington ha notificato l’attacco in anticipo al ministero della Difesa russo.
Aerei, piste di decollo, hangar, radar, depositi di carburante e infrastrutture varie sono state i target dei missili americani. Secondo i dati diffusi dagli attivisti che riportano informazioni dal posto, la base sarebbe stata completamente distrutta. Ci potrebbero essere anche vittime tra i soldati, con qualche morto.
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Già da giovedì pomeriggio (ora della costa est americana), erano iniziate a circolare indiscrezioni a proposito di un’opzione militare pronta a cui la Casa Bianca stava pensando. Era stato il segretario di Stato Rex Tillerson a evocarla in una conferenza con Xi (forse un avviso anche nei confronti della Corea del Nord e per richiamare Pechino a un maggiore impegno nel contrallare Pyongyang). Il giorno precedente, anche la delegata all’Onu Nikki Haley aveva parlato al Consiglio di Sicurezza riunito di possibili ritorsioni americane contro Assad.
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L’azione militare è stato un radicale cambiamento della visione americana nei confronti della crisi siriana: Trump ha tenuto per mesi (già dalla campagna elettorale) un atteggiamento disinteressato e pragmatico, sostenendo che le dinamiche tra regime e ribelli non fossero l’interesse primario per gli americani, che in Siria dovevano solo combattere lo Stato islamico. Posizione cambiata nettamente dopo l’attacco chimico, come annunciato mercoledì, che nel giro di 48 ore ha portato all’azione. Trump in una dichiarazione dopo i fatti di Idlib aveva accusato anche il predecessore Barack Obama per quanto successo, incolpandolo per l’inazione statunitense dopo l’attacco chimico siriano del 2013.
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Il bombardamento mette gli Stati Uniti in una posizione difficilissima, considerando che il regime siriano gode della copertura militare di Russia e Iran. Ma il presidente, in una conferenza stampa in cui ha invitato tutte le “nazioni civilizzate” a unirsi nelle operazioni americane (che per il momento sono un’azione unilaterale), ha chiamato l’azione un “interesse vitale per la sicurezza nazionale”. La Tv di stato siriana ha definito l’attacco, che avrebbe danneggiato varie strutture militari, “un’aggressione”.
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Non è chiaro al momento se si sia trattato di un’azione puntuale o dell’apertura dei una campagna militare, ma il capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, HR McMaster, ha chiarito che l’azione “non cambia la postura degli Stati Uniti in Siria”, sottintendendo che l’obiettivo principale resta colpire lo Stato islamico. Centinaia di soldati americani si trovano al nord del paese, dove stanno accompagnando un gruppo di miliziani curdo-arabi verso la roccaforte dell’IS a Raqqa. Il bombardamento apre scenari pericolosi per le truppe americane, che potrebbero finire sotto attacco da parte del governo di Damasco, e allo stesso complica la situazione per i bombardieri che ne fanno da scorta aerea, che potrebbero finire sotto i colpi dell’artiglieria siriana (o dei caccia russi).