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Il vento del terrore che soffia dai Balcani

manciulli, nato,

La notizia di qualche tempo fa della brillante operazione congiunta delle nostre Forze di sicurezza, con la quale è stata sgominata a Venezia una cellula jihadista composta da uomini di origine kosovara, ha riproposto all’attenzione pubblica il tema della centralità dei Balcani. In questi territori, fenomeni di radicalismo religioso, anche jihadista, non sono nuovi.

Durante la guerra di Bosnia, i Balcani furono interessati dalla presenza di veterani provenienti dall’Afghanistan; l’eredità di quella fase è rappresentata oggi dalla presenza di predicatori e comunità radicali, da rancori e dall’emergere di un fenomeno che vede numerosi combattenti partire soprattutto dal Kosovo per raggiungere la Siria e unirsi alle milizie del Califfato. In un tale contesto, caratterizzato anche da una precaria situazione politica, istituzionale ed economica, la congiuntura con la criminalità organizzata locale – capace di sfruttare i traffici illegali di droga, armi ed esseri umani – prova quanto questa minaccia sia incombente e potenzialmente pericolosa anche per noi europei. Per quanto riguarda la lotta al terrorismo e alla radicalizzazione jihadista, tema centrale delle agende politiche dei governi europei che richiederebbe maggiore omogeneità di mezzi e obiettivi, i Balcani dovrebbero essere una priorità per la sicurezza e la politica estera dell’Europa.

Come dimostrano gli arresti di Venezia e come ci ricordano le indagini condotte dalle nostre Forze dell’ordine sul fronte del contrasto al terrorismo, i Balcani possono fungere da base logistica al terrorismo per colpire in Europa. È ormai chiaro che le organizzazioni terroristiche sfruttano spazi vuoti, sia geografici sia socio-economici, per insediarsi e radicarsi. Gli spazi vuoti a cui si fa riferimento sono quelle aree geografiche in cui il controllo statuale è precario o assente, o le istituzioni registrano delle fragilità; zone territoriali formalmente sotto il controllo di Stati in realtà falliti, oppure limitrofe a confini porosi, in cui le milizie jihadiste organizzano rifugi da cui assumono il controllo del territorio e la gestione dei propri traffici. Vi rientrano il deserto del Sinai, alcune aree del Sahel, del Corno d’Africa, della Libia e dei Balcani; non è un caso che la Nato stia continuando a mantenere la propria missione in Kosovo per favorire il processo di stabilizzazione. Ma gli spazi vuoti sono anche di natura socio- economica.

In questo caso, il riferimento è ad aree in cui crisi economica, difficoltà di integrazione socio-culturale, fenomeni di radicalismo e violenza possono fungere da terreno fertile per l’insediamento di forme più o meno organizzate di simpatia o militanza jihadista. Si tratta di zone presenti anche in Europa: periferie e quartieri di alcune metropoli in cui gli spazi vuoti si innestano nelle contraddizioni interne alle nostre società. Nei Balcani, la propaganda di Daesh si è servita di messaggi diretti proprio alle popolazioni frustrate di quelle zone. Si pensi al famoso video Honor is in Jihad, che ripercorre la storia delle guerre balcaniche e le persecuzioni delle popolazioni musulmane balcaniche dal medioevo a oggi, integralmente girato nelle lingue locali e con il richiamo finale a unirsi a Daesh, quale unico possibile riscatto. Di questi temi abbiamo discusso con sempre maggiore attenzione negli ultimi anni anche a livello di Assemblea parlamentare della Nato, sia nelle riunioni ospitate in Italia, sia, anche di recente, in un seminario a Sarajevo.

Ne dovremo continuare a discutere, anche in futuro, non solo a livello dell’Alleanza atlantica, ma anche in Italia e all’interno delle istituzioni europee, per individuare in tempi rapidi forme di azione e di intervento concreto. Se siamo consapevoli delle minacce potenziali e già esistenti che possono venire dall’area balcanica, dobbiamo avere altrettanta consapevolezza che per vincerle occorre non isolare quei Paesi; è, bensì, indispensabile coinvolgerli, riattivare i processi politici di inclusione rimasti sospesi, sfruttare le istituzioni e le organizzazioni internazionali per rafforzarli e sostenerli, sul piano politico ed economico. L’Italia in questa sfida può giocare un grande ruolo, non solo per vicinanza geografica, ma anche per la storia che la lega a quell’area. Se non lo faremo, lasceremo il campo ad altri, abbandonando quella che invece può essere una delle nostre priorità di politica estera.

Come insegna la storia, i Balcani hanno spesso influenzato, e a volte anticipato, eventi e tragedie che hanno coinvolto tutta l’Europa. Le avvisaglie di possibili nuove tempeste provenienti dalla sponda orientale del Mediterraneo ci sono tutte. Adesso si tratta di evitare, anticipandole con gli strumenti della politica, che si producano.



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