Che cosa va a fare papa Francesco al Cairo? Un “confronto-incontro” teologico di alto livello con l’imam di al-Azhar? Un colloquio “cordiale ma franco” con il generale al-Sisi? Una testimonianza di “affetto e vicinanza” alla Chiesa copta? Tutto questo, certamente. Ma non solo questo. E probabilmente non soprattutto questo. Bergoglio va al Cairo per chiedere a ciascuno di noi quale ruolo assegni ai diritti umani nel nuovo millennio. Ruolo nei rapporti all’interno dei singoli stati e tra gli stati.
È una domanda tanto semplice quanto essenziale per spezzare la spirale odio-paura, paura-odio, che rischia di avvitarci in una discesa senza fine verso l’eliminazione dei diritti umani dall’agenda sociale interna agli stati e dall’agenda politica tra gli stati sovrani. È quel che vogliono i terroristi, che siano islamisti radicalizzati o radicali islamizzati, ed è quel che ritengono un costo indispensabile i neocrociati.
Per rispondere a questa sfida la visita del papa così non potrà che portare alla ribalta la parola “popolo”. Questo punto è di importantissima rilevanza arabo islamica e ruota intorno alla parola “umma”, cioè la comunità. Questa comunità è da sempre la comunità dei fedeli. Poi l’umma è stata presentata anche in termini etnici: l’umma, cioè la comunità, dei popoli arabi. E i non musulmani, i non arabi? Che ruolo hanno in quei Paesi? A questo problema dopo secoli e secoli di attesa finalmente dà una risposta chiara il documento che è stato varato dall’Università di al-Azhar convocando l’incontro al quale parteciperà papa Francesco: esiste anche una declinazione geografica della comunità, cioè dell’umma, costituita da chi abita un territorio. Costoro devono essere tenuti insieme non dalla fede, non dall’etnia, ma dalla costituzione della propria patria. Nel paragrafo finale della dichiarazione poi si afferma che in questa patria fondata su una Costituzione “il nostro obiettivo, vivendo sulla stessa barca e facendo parte della stessa società, [….] è garantire un migliore futuro ai nostri figli e alle nostre figlie”».
Questa svolta concettuale ed epocale, patrocinata tra mille difficoltà da al-Azhar, richiederà tempo per essere capita, digerita, assimilata. Ma resta il fatto che, se non si comincia a mangiare, non si comincerà mai a digerire. Per questo Bergoglio appare l’interlocutore giusto per aiutare, affiancare e incoraggiare questo processo storico fondamentale.
Altri al suo posto infatti andrebbero a sottolineare che al-Azhar dovrebbe anche fare i conti con un’altra urgenza, superare la definizione di quelle terre come “Casa dell’Islam”. È ovvio. Ma c’è da scommettere che a papa Bergoglio questo non interesserà. Il suo pontificato è stato segnato da una parola, “popolo”: lui è chiamato da tanti il papa della teologia del popolo, i suoi incontri più sorprendenti e coinvolgenti sono stati quelli con i “movimenti popolari”. Il papa del popolo aiuterà gli egiziani, cristiani e musulmani, a sentirsi “popolo”! E come farà? Teorizzando? Discettando? Ma no… Lo ha già cominciato a fare dicendo che lui durante la sua sosta al Cairo non userà l’auto blindata, perché quella della sicurezza è un’emergenza di tutti, cioè di tutto il popolo egiziano. In questo i copti, il fianco debole del popolo, ne diventano in certo senso “l’ala marciante”, il simbolo. Un simbolo capace di parlare a chi vive l’insicurezza alimentare, per sé e per i propri figli, l’insicurezza idrica, per sé e per i propri figli. O la mancanza di riso, alimento base nella dieta di quel popolo, o di scarpe, essenziali per tutti i popoli. E tante altre mancanze. Ecco che il problema di quale ruolo assegnare ai diritti umani in questo nostro millennio già così rientra nella vita e nella storia di un popolo.