Era fin troppo scontato che Emmanuel Macron guardasse all’elettorato di centrodestra consapevole che la Francia è in larghissima maggioranza di centrodestra. E lui, per quanti “distinguo” e precisazioni si possano fare, ne incarna la sostanza nuova. Sicché la scelta di Éduard Philippe come primo ministro è coerente con il disegno perseguito fin da quando il neo-presidente abbandonò il governo ed il Partito socialista: la creazione di un grande rassemblement, al di là dei vecchi e moribondi partiti, che possa seguirlo nella ricostruzione del Paese e rinnovare quella “certa idea” della Francia così cara al generale De Gaulle. Chi meglio del giovane sindaco di Le Havre, nonché deputato dei Républicains, con un passato a sinistra ed un presente a destra, sedotto prima da Michel Rocard e poi da Alain Juppé, del quale è stato ritenuto il “delfino” fino a quando il navigato politico gollista ha ceduto il passo a François Fillon, poteva essere più adatto ad incarnare l’idea di governo di Macron?
Creatura di due politici pragmatici, dissimili per formazione, ma prossimi nel concepire lo Stato nazionale nelle sue articolazioni sociali e nella sua intangibilità, Philippe ha così maturato nel corso del tempo una concezione della politica estremamente realistica, non soltanto grazie alla formazione ricevuta all’Ena (come lo stesso Macron), ma sul campo, prima quale sostenitore di Antoine Rufenacht, suo predecessore a Le Havre e poi come allievo e collaboratore di Juppé (del quale è stato capo di gabinetto nel 2007 al ministero dell’Ecologia) quando questi fondò nel 2002, con la collaborazione di Sarkozy, Fillon, Copé l’Ump, erede dell’Rpr, il partito gollista, e generatore della nuova formazione ben presto lacerata da lotte intestine che non poco hanno influito sull’esito delle presidenziali.
“Sconosciuto”, si è detto subito, ma Philippe non lo è nei circoli politici che contano e nel mondo giornalistico dove si esprime con regolarità pubblicando le sue analisi su Libération (giornale che abbandonato la sua connotazione di sinistra “intransigente” per assumere le fattezze di un foglio progressista, liberal ma aperto a molte opinioni dissenzienti). Ed il fatto di ospitare Philippe, notoriamente ostile ai matrimoni tra gay come ad altre derive laiciste a cominciare da un ecologismo spinto fino alla prefigurazione di un pauperismo inaccettabile per un Paese tra i più industrializzati e produttivi dell’Occidente), ne è la prova. Macron ha investito su di lui, non soltanto perché gli è amico da tempo, ma per la maturità dimostrata nell’amministrare una grande e complessa città. Del resto, il presidente si è fatto le ossa come studente dell’Ena girovagando per municipi, prefetture e dipartimenti, laddove cioé lo Stato lo si “vive” toccandolo con mano. E la funzione di sindaco, Philippe l’ha interpretata proprio alla maniera di come Macron guarda alla cosa pubblica: basta sfogliare le pagine del suo libro-manifesto, Révolution, per rendersene conto.
Qualcuno potrebbe immaginare che la nomina del primo ministro preluda ad una sorta di “coabitazione” necessaria dopo le elezioni legislative di giugno. Non è così. Per quanto si possa essere pessimisti, République en marche! ( il nuovo nome del movimento di Macron) otterrà i voti necessari per governare insieme con i Républicains e quei pochi seggi che i socialisti riusciranno ad ottenere. Diciamo che si è voluto cautelare preventivamente, sapendo che difficilmente avrebbe potuto attribuire ad un uomo del suo stretto entourage la carica di primo ministro. Philippe non verrà sconfessato, nel frattempo, dai repubblicani i quali potranno comunque mostrarsi tutt’altro che battuti avendo un loro esponente a Palais Matignon, un’opportunità che coglieranno senz’altro in questo mese di campagna elettorale.
Conservatore di buona tempra, come dimostrano anche le sue battaglie civili, Philippe non si attende tuttavia un trattamento di riguardo dalla nomenclatura ammaccata che ruota attorno a Fillon e compagnia cantante. Comunque, la sua estraneità alle beghe che hanno travolto il gollismo è anche il suo punto di forza per poter legittimamente reclamare la “modernizzazione” di quel “conservatorismo sociale” perseguito dal Generale e interpretato nel 1976 soprattutto da Jacques Chirac quando fondò il Rassemblement pour la Répubblique dissoltosi ventisei anni dopo per farne un partito più grande, come in effetti fu: nel 2002 il fondatore fu rieletto presidente e nel 2007 il suo ministro Sarkozy gli successe all’Eliseo.
Forse i gollisti (o quel che rimane di loro) possono – del tutto inaspettatamente – ricominciare da Philippe, un politico di nuovo conio che non ha fretta, che mostra l’equilibrio dei conservatori della sua terra, il buon senso dello studioso e possiede la fantasia dello scrittore di successo, una qualità che per chi è chiamato ad amministrare non è cosa da poco. Andrà d’accordo con Macron che ama la musica, suona il pianoforte e studia la filosofia talvolta trascurando l’economia…