Sembra che siamo in campagna elettorale. Almeno così si dice. E la maggior parte degli italiani pare crederci. Del resto come si fa dubitarne? Lo affermano i giornali, la televisione, la radio, i social network: deve essere proprio così anche se, fossi in Federica Sciarelli, una puntata di “Chi l’ha visto?” la dedicherei proprio alla campagna elettorale. Tanto per essere certi che si sta davvero svolgendo. Sarò pure distratto, ma non riesco proprio a vederla. Dite che non leggo con attenzione i quotidiani, non seguo i talk show, non ho dimestichezza con Internet? Può essere. Ma, per quanto riluttante, posso assicurare i quattro lettori di questo blog che mi ci sono messo d’impegno per almeno una settimana intera a cercare la campagna elettorale smarrita (almeno da me).
Niente, non l’ho trovata. Forse era più facile per Proust rovistare nel tempo perduto, e magari trovarlo, che per me appostarmi ad ogni angolo utile al fine di rinvenire una competizione tra forze politiche della quale parlano ossessivamente tutti i mezzi di comunicazione di massa. Già, ma non dovrebbe interessare innanzitutto i cittadini? Ho l’impressione che questi se ne freghino altamente (o, forse, bassamente, considerato il tema). E sarà per tale motivo che non me ne sono accorto che è in corso.
Frequento male, probabilmente. Eppure nei bar, sui mezzi pubblici, in fila all’ufficio postale, nelle sale d’attesa dei medici, perfino davanti all’edicola dove incontro sempre le stesse persone da anni non ho sentito nessuno discutere di politica come sarebbe lecito attendersi in tempi di campagna elettorale. Ed avendo provato a sondare qualche mio coinquilino condividendo per qualche minuto l’ascensore, ho capito che non era aria: la brevissima conversazione, forse maldestramente avviata, si è immediatamente spostata sull’instabilità del tempo per concludere che le stagioni, come i cristiani, sono cambiate.
Figurarsi le campagne elettorali,mi sono detto. Cambiate anch’esse al punto di non riconoscerle più. Anzi di non rendermene addirittura conto che c’è una popolazione (i candidati) a me, come al 90% degli italiani, ignota che spera di conquistare un seggio in Parlamento. Ma voi, amici lettori, li vedete o sono soltanto io il cieco in questi allucinanti frangenti? Ho l’impressione di essere circondato da fantasmi. Non scorgo volti, non intercetto appelli, non m’imbatto in piccole o grandi folle attente a quanto dice qualcuno arrampicato su un trespolo. Massì che li leggo i giornali e ogni giorno c’è stampata una proposta shock o un insulto, un’accusa o una rivelazione (per modo di dire), un ricordo e molte dimenticanze. Tutto questo dovrebbe costituire l’essenza della campagna elettorale.
Ero abituato a ben altro, lo confesso. E fino a non molto tempo fa, mica agli albori della Repubblica. I candidati ci mettevano le facce, i soldi, la passione, le verità e le menzogne. Gli elettori l’attesa, l’entusiasmo, molti l’indifferenza, ma non la davano a vedere. I piccoli centri si vestivano a festa. Il comizio troneggiava. L’euforia si espandeva. Cresceva giorno dopo giorno l’ansia del risultato. Credeva nella vittoria perfino chi sapeva di non avere nessuna chance. E ci si dava polemicamente addosso fino a rompere qualche volta temporaneamente amicizie inossidabili.
Scomparso il popolo, il territorio è rimasto disabitato. In poltrona davanti al video ci si addormenta fissando le solite facce che da un giorno all’altro si smentiscono come se fossero entità diverse. Partiti irriconoscibili aggrediscono il nostro immaginario come considerandoci alieni privi di memoria: sanno che non dureranno e fidano sulla nostra labilità. Nessuno li rincorrerà dopo il voto: non hanno neppure un numero di telefono, soltanto un sito che smantelleranno poche ore dopo la chiusura dei seggi.
Ripasso a memoria, perdendomi nell’azzurrissimo cielo del mio Sannio deserto di politica e di desideri, le campagne combattute in queste familiari contrade. E le risate, le angosce, i voti strappati e quelli perduti, gli amici che se ne sono andati per sempre che non lasciavano mai cadere quella logora bandiera da legare ad un camioncino, ad un palco, ad un balcone…
Sta per cominciare l’ennesimo talk televisivo. Fastidiose voci coprono i pensieri. Mi rifugio in biblioteca. Il camino riscalda le ossa e l’anima. Agguanto “Un viaggio elettorale” di Francesco De Sanctis. Era il 1875. L’ex-ministro della Pubblica Istruzione, impegnato nel ballottaggio, s’inerpicava su per i monti della sua Irpinia per conquistare poche centinaia di voti. La fatica, il freddo, l’affanno, i dubbi, gli intrighi lo accompagnavano. Lui, “il deputato di tutti”, tutti incontrava, anche chi non aveva diritto al voto. Lo scopo? Portare quel pezzo d’Italia, misero eppure orgoglioso, nel Parlamento del Regno.
Oggi che cosa portano a Roma i fantasmi che compaiono sui tabelloni elettorali, senza volto e senza voce? Ma no, non insistete: la campagna elettorale è un’invenzione. Nessuno la vede. E se dite che si sta svolgendo, nessuno la riconosce. È una fiction riuscita male.