“Abbiamo vinto!”. Angelino Alfano non ce l’ha fatta a trattenersi e venerdì mattina ha convocato una conferenza stampa per esternare tutta la sua gioia per il fallimento della riforma elettorale, impallinata dai franchi tiratori giovedì pomeriggio nell’Aula di Montecitorio.
C’è da dire che il ministro degli Esteri questa volta può vantare buone ragioni. Il grande caos sul sistema di voto andato in scena alla Camera, infatti, ha dimostrato tre cose: che la fretta (di andare al voto) è sempre una cattiva consigliera, tanto più se si scegli una legge elettorale che è l’esatto opposto di quella perorata nei mesi addietro (vero Renzi?); che fidarsi ancora una volta delle promesse dell’ex premier, dimostrando una certa ingenuità politica, non porta bene (vero Berlusconi?); che andare avanti come schegge impazzite, ognuno per sé, senza una linea chiara, non ci si fa una bella figura davanti al Paese (vero Grillo?). Insomma, lo sfarinamento del patto a 4 sul sistema di voto, che non ha retto nemmeno due giorni alla prova parlamentare, evidenzia quanto fosse flebile quell’accordo, una forzatura imposta dall’ex premier e appoggiata da Berlusconi, supportata senza troppa convinzione da Lega e M5S.
Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini escono a pezzi da questo passaggio parlamentare. E più loro ne escono male, più gongola Alfano, che a quell’accordo si era opposto con tutte le sue forze. Non per motivi granché nobili (se la tagliola del proporzionale fosse stata del 3% magari sarebbe stato anche lui della partita), ma tant’è. In politica, però, anche la forma è sostanza. E sulla forma rimarrà agli annali come Renzi abbia liquidato in cinque minuti il maggior alleato di governo del centrosinistra dal 2013 (governi Letta, Renzi, Gentiloni). Alfano, appunto, e la sua truppa centrista da poco ribattezzata Alternativa popolare (Ap). “Dopo che è stato ministro di tutto, se Alfano non arriva nemmeno al 5% sono problemi suoi…”, le parole del segretario Pd. “In politica non si trattano gli alleati in questo modo, non si liquidano come fossero una colf sorpresa a rubare in casa. Alfano sostiene governi da 4 anni, ci voleva più rispetto. Anche perché, in politica come in tutti i settori, chi reputi inutile oggi può diventare fondamentale domani. L’ex premier ha dimostrato una miopia imbarazzante, uno così dove volete che vada…”, si sfoga in Transatlantico un centrista che vuole restare anonimo.
E ora? Per il momento il rapporto tra Renzi e Alfano resta compromesso. “Sosteniamo il governo Gentiloni nei cui confronti abbiamo grande apprezzamento, ma non ci sentiamo alleati del Pd”, ha detto il ministro degli Esteri. Insomma, alla fine di legislatura Pd e Ap arriveranno da separati in casa, come moglie e marito che non si parlano, da alleati-non alleati. Poi si vedrà. La vera incognita per Ap, a questo punto, sarà come andare avanti nella costruzione del soggetto centrista, progetto che aveva subìto un’accelerazione proprio grazie al tanto vilipeso ritorno al proporzionale. Le forze centriste si uniranno? Fitto sarà della partita? E Ala/Scelta civica? E Parisi è ancora il possibile leader? Che ruolo avrà Calenda? “Noi non togliamo il piede dall’acceleratore della nascita di un soggetto nuovo, ragioniamo ancora come se le elezioni si dovessero tenere a settembre.
L’aggregazione di una forza popolare e liberale va avanti”, afferma Alfano. Ha vinto sulla legge elettorale, si è dimostrato affidabile come componente del governo e, last but not least, non potrà non essere contento del cambio al vertice della Rai: Antonio Campo Dall’Orto, di cui Alfano aveva chiesto le dimissioni, è stato ieri sostituito da Mario Orfeo, direttore del Tg1, dopo l’uscita di scena del direttore generale.