Non è avvezza ai giri di parole suor Anna Monia Alfieri, da 10 anni in prima linea a battersi per una vera uguaglianza tra scuole paritarie e pubbliche statali. Autrice di un popolarissimo blog su Formiche.net, le sue battaglie sono conosciute anche al di fuori dell’Italia. Mercoledì all’Universitas Mercatorum di Roma ha presentato il suo libro “Il diritto di apprendere” (Giappichelli), alla seconda ristampa, in una conferenza dal titolo “Cultura, economia, politica. L’innovazione educativa”, alla presenza, tra gli altri, dei co-autori del volume Marco Grumo e Maria Chiara Parola e del ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli.
“Io mi sento una salvata dal mondo della scuola”, così suor Anna Monia Alfieri, velo sulla testa e sguardo determinato, spiega perché, pur avendo solo otto in condotta, ha deciso fin da giovanissima di battersi perché in Italia l’accesso alle scuole paritarie sia garantito effettivamente e per tutti. Non una battaglia donchisciottesca contro i mulini a vento, ma un impegno per far applicare una legge che già è scritta nero su bianco sulla Gazzetta Ufficiale, la n. 62 del 2000. L’uso delle parole non è casuale: un conto sono le scuole private, un conto le paritarie, che la legge del 2000 definisce “una delle due gambe del Sistema Nazionale di Istruzione”, e dunque sullo stesso piano delle pubbliche. Perché allora battersi tanto se una legge già esiste? Uno sguardo ai dati risponde inequivocabilmente: a fronte dei quasi 60 miliardi spesi per le pubbliche, l’Italia spende solo mezzo miliardo per le paritarie. Eppure quasi tutto il resto dell’Europa, primi fra tutti i laicissimi paesi scandinavi, spende esattamente la stessa cifra per pubbliche e paritarie. È chiaro dunque che non si tratta di una battaglia religiosa, ma semmai culturale, rimarca suor Anna, che è anche presidente della sezione Lombardia della Federazione Istituti di Attività Educative.
Quello italiano è “un sistema scolastico classista, in cui devi pregare di nascere nella famiglia giusta”, incalza l’Alfieri riferendosi ai costi altissimi che i genitori devono pagare per mandare i figli alle paritarie, per non parlare del caso in cui abbiano un figlio disabile, dove i costi quadruplicano ma le detrazioni statali rimangono al loro posto. Poi chiede al ministro Fedeli: “Come posso agire nella mia responsabilità educativa se non ho la libertà di scelta educativa?”. “I genitori sono preoccupati che l’Italia non abbia un futuro, di dire ai propri figli di andare all’estero. In uno scenario di questo tipo chi rimarrà in Italia fra 15 anni?”, si domanda invece Maria Chiara Parola, co-autrice del libro.
C’è una proposta scientifica che queste paladine della scuola paritaria assieme al professor Marco Grumo hanno avanzato nel libro “Il diritto di apprendere”: un costo standard da individuare per ogni studente, che sia iscritto a una pubblica o a una paritaria, che lavora solo sulla spesa corrente e non su quella in conto capitale, comprensivo di detrazioni, buoni scuola, voucher. Una proposta che nel libro è surrogata da una ricerca scientifica pluriennale, con tanto di dati e statistiche: “Negli ultimi 3 anni 450 scuole paritarie hanno chiuso, in quelle che hanno aperto ci sono state perdite rilevanti dei gestori” spiega Rummo, tra gli ideatori del costo standard. Che poi si chiede perché la mobilità dalle strutture pubbliche al privato, garantita nella sanità, sia invece negata nell’istruzione per le paritarie.
Valeria Fedeli, che è ministro dell’Istruzione dal dicembre 2016 e dunque non può, neanche volendo, addossarsi le ben più radicate falle del sistema istruzione, riconosce però gli errori fatti dal Ministero in precedenza, “abbiamo la legge 62 del 2000, perché è rimasta lì?”. Ma al tempo stesso apre a una speranza difendendo la legge di bilancio del 2017, per cui le scuole paritarie potranno concorrere a nuovi finanziamenti. Senza risparmiare una stoccata all’UE, con cui l’Italia ha un contenzioso aperto per questioni di budget: “Non è Bruxelles che può decidere cosa è pubblico e cosa è paritario. Nel momento in cui hai una legge, non puoi non tenere da parte soldi che sono destinati con bando specifico alle paritarie e spenderli mentre aspetti che Bruxelles decida”.