Giovedì “a sorpresa” la Qatar Airways ha reso pubblica la volontà di presentare un’offerta per l’acquisto del 10 per cento dell’American Airlines. La dichiarazione ufficiale uscita da Doha dice: “Qatar Airways vede una grossa opportunità” e precisa che si tratterà di “un investimento passivo nella società, senza alcun coinvolgimento nella gestione, nelle operazioni, nella governance”. Solo azioni, per un valore che si dovrebbe aggirare intorno agli 880 milioni di dollari. Da Fort Worth (l’hub di AA è all’aeroporto internazionale di Dallas) invece si replica: abbiamo ricevuto l’avviso per un intervento “unsoliceted”, ossia senza che lo chiedessimo. È un’offerta.
IL VALORE DI AA
Letta strettamente in chiave economica (su quella politica ci si tornerà), American Airlines è in effetti potenzialmente interessante: il primo trimestre ha già chiuso molto meglio del previsionale di Bloomberg, con revenue pari a 8,92 miliardi di dollari. E d’altronde la Qatar Airways non è nuova in questo genere di operazioni: lo scorso anno è entrata in partnership con la holding IAG (International Airlines Group), che controlla la British Airways, Aer Lingus, Iberia e Vueling. Nel luglio scorso è entrata in Meridiana, ottenendo il 49 per cento della seconda più grossa società aerea italiana; a dicembre ha preso il 10 per cento della cilena Latam Airlines.
QUANTO È SERIA L’OFFERTA
La Qatar fa sul serio con AA: ha già comunicato alla società americana di aver presentato istanza sotto l’Hart-Scott-Rodino Act (HSR Act), che richiede la revisione dell’ufficio che si occupa di anti-trust per il dipartimento di Stato americano per offerte del genere che superino il valore di 81 milioni di dollari. Secondo lo statuto di fondazione dell’American per ottenere più del 4,75 deve esserci il via libero del boarding aziendale – se l’operazione andrà in porto, la Qatar Airways prenderebbe una delle fette più grosse, insieme a T. Rowe Price (10.85%), Primecap Management Co. (10,23%) e il Berkshire Hathaway Inc. di Warren Buffet (10%).
OLTRE L’ASPETTO ECONOMICO
Ma forse c’è di più dell’interesse economico. L’investimento qatariota – la compagnia aerea è un asset governativo – potrebbe avere un valore politico in un momento critico per l’emirato. Da inizio giugno un blocco di paesi sunniti guidato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi sta isolando diplomaticamente il Qatar. In queste ultime ore sono uscite le condizioni richieste dagli isolanti per riaprire i rapporti, e sembra piuttosto improbabile che Doha le accetti tout court. Messa com’è la situazione è indubbio che un ruolo di stabilizzazione possa (e debba) essere giocato dagli Stati Uniti, che si sono riavvicinati notevolmente a sauditi ed emiratini, e che comunque mantengono ottime relazioni e interessi in Qatar. L’azione economica verso American Airlines potrebbe essere anche un impegno materiale verso la richiesta di aiuto diplomatico: è noto che uno dei principali interessi del presidente Donald Trump è la crescita economica, e del mercato lavorativo, e dunque Doha mette davanti al presidente un piatto succulento. Wall Street ha preso bene la notizia, e giovedì ha fatto chiudere in rialzo AA e indotto collegabile; un punto in più per suscitare l’interesse della Casa Bianca. Un contatto di Formiche.net ben informato sui grossi movimenti economico-finanziari internazionali l’ha definita “cheque-writing based diplomacy”, la diplomazia basata sul firmare assegni; rende l’idea.
ASPETTI CONTROVERSI
Di contro, per un presidente che ha anche fatto eco alle accuse mosse dal Golfo per sollevare quell’isolamento – ‘Il Qatar finanzia il terrorismo’, dicono da Riad e Abu Dhabi –, una sorta di scombussolamento che l’investimento qatariota può creare nel settore americano. La questione l’ha sollevata Bob Ross, capo sindacalista di American Airlines: la società fa parte con Delta e United del blocco forte che ha mosso accuse di concorrenza sleale contro le potenti compagnie dei paesi del Golfo. Emirates, Etihad, Qatar Airways, appunto, da tempo in testa alle classifiche dei migliori redatte dall’autorevolissimo Skytrax, sono incolpate di avere un ruolo sempre più assertivo nel mercato americano: ruolo però finanziato dai fondi sovrani dei propri ricchissimi governi. Complicato accettare una situazione del genere per un repubblicano che predica l’America First, ma contemporaneamente difficile rinunciare a certi investimenti: il cui costo però potrebbe essere quello di articolare ulteriormente l’impegno diplomatico all’interno della più grossa crisi del Medio Oriente dai tempi della guerra Iran/Iraq.