(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)
È inutile ormai sperare che Massimo D’Alema possa cambiare, per quanto sia il meno anziano, o il più giovane, come preferite, della vecchia guardia della politica italiana, o della sinistra, comprensiva di anzianissimi come Giorgio Napolitano ed Emanuele Macaluso. Ma anche di Franco Marini, per non limitarci alla sinistra di origine comunista e includere anche quella di origine democristiana, visto che le due “anime” ebbero dieci anni fa l’idea di fondersi nel Pd. O di tentare una fusione purtroppo non ben riuscita, come lo stesso D’Alema riconobbe presto scalciando contro l’allora segretario Walter Veltroni, già suo concorrente nel Pci, ma come aveva tempestivamente previsto sul fronte post democristiano Gerardo Bianco. Che si era saggiamente astenuto dal partecipare all’avventura, cercando anzi di osteggiarla per salvare la tradizione della sua parte politica.
Si dice di solito che il lupo perde il pelo ma non il vizio. D’Alema tuttavia non ha perso neppure il pelo, visto che fa l’offeso e grida al complotto per la brusca chiusura della sua esperienza internazionale, che tanto gli stava a cuore, di presidente di un organismo che riunisce le fondazioni dei partiti aderenti al socialismo europeo. L’acronimo di questo organismo è Feps, per conto e a spese del quale D’Alema ha girato per un bel po’ di anni tutta Europa e mezzo mondo, senza mai distrarsi davvero dalle vicende politiche italiane, interessandosene anzi fin troppo, almeno agli occhi e alle orecchie degli altri soci della Feps, a partire naturalmente da quelli di casa -non cosa- nostra. Di cui gli stranieri hanno condiviso lo stupore, a dir poco, per il forte contributo che l’ex presidente del Consiglio italiano ha voluto dare alla scissione del Pd pur di cercare di rottamare Matteo Renzi dopo esserne stato rottamato, ma non fino al punto, evidentemente, da togliergli o impedirgli la guida della Feps. Eppure era stato proprio Renzi a portare nel Partito Socialista Europeo il Pd, come primo atto della sua segreteria, non essendo riusciti a compiere quel passo neppure i suoi predecessori di provenienza comunista.
Ora che, tentata inutilmente una breve proroga, D’Alema è stato sostituito in quattro e quattr’otto, come si dice, dalla portoghese Maria Joao Rodriguez, piombata a Bruxelles per insediarsi al suo posto, l’ex presidente italiano ha liquidato la vicenda come una “vendetta” di Renzi. Non gli è minimamente passata per la testa l’idea di avere potuto commettere un errore quanto meno di stile, facendosi forte anche del ruolo di presidente della Feps prima per sconfiggere il proprio partito nel referendum sulla riforma costituzionale, che i socialisti europei avevano invece apprezzato pubblicamente, e poi per spaccarlo.
D’altronde, comunisti e post-comunisti hanno una loro sinistra tradizione nell’uso disinvolto, a dir poco, delle associazioni internazionali alle quali decidono di partecipare. All’indomani del crollo del muro di Berlino, cioè del comunismo, essi chiesero all’allora segretario del Psi Bettino Craxi, che imprudentemente acconsentì, il nulla osta necessario per la loro adesione a quella che si chiamava l’Internazionale socialista. Dove però operarono ben bene perché Craxi personalmente e il suo partito venissero stritolati in Italia politicamente e giudiziariamente, o viceversa.
Forte di questo precedente, forse D’Alema pensava di ripetere l’operazione con Renzi. Sotto questo profilo, almeno sinora, gli è andata male.