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A che punto sono i rapporti fra Ue e Nato

Arpino

Come difendere l’Europa? Non è una domanda banale. Pone tutto un sottoinsieme di quesiti per i quali non si sono mai trovate risposte semplici.

L’Europa geografica ha subìto nei secoli una lunga storia di invasioni. Oggi accadono ancora, ma non si chiamano così. Finalmente, dopo due guerre mondiali, gli europei, posti sotto tutela russo-americana, avevano smesso di combattersi. Ma i problemi non erano finiti: Europa occidentale da un lato, ed Europa orientale dall’altro. Classico è il dibattito sui confini, su chi siano i veri europei, su come si debbano difendere, da chi, perché e come. Quarant’anni di guerra fredda hanno reso sterile la discussione e la difesa dell’Europa occidentale, e più in generale dell’occidente, è stata prerogativa di Usa e Nato.

Le Forze di difesa erano permanentemente assegnate alla Nato, sotto il cui esclusivo controllo operavano; altre forze precettate erano su allarme e anche quelle non combattenti erano prioritariamente disponibili per l’Alleanza: Aeronautica gravitante a nord, Marina in primis a supporto della Sesta flotta ed Esercito schierato prevalentemente sulla soglia di Gorizia. Ricordiamo tutti le grandi esercitazioni Nato, con tanto di finte decontaminazioni e aria filtrata, dove il tema era sempre respingere l’invasione sovietica.

Circa l’argomento difesa, l’allora Comunità economica europea (Cee), nonostante alcuni timidi tentativi – sempre falliti –, non dava segno di vita. L’idea di Comunità europea di difesa (Ced) veniva irrimediabilmente bocciata dalla Francia, che subito dopo, nel 1954, contribuiva a fondare l’Unione europea occidentale (Ueo) comprendente Belgio, Olanda, Lussemburgo, Francia, Regno Unito, Italia, Repubblica Federale di Germania, Grecia, Spagna e Portogallo. Ma, visto che la Nato era prevalente in funzione difensiva, la Ueo rimase quasi inattiva fino a metà degli anni Ottanta.

Nelle rare riunioni, veniva scherzosamente citata come la bella addormentata nel bosco. A muro caduto e Urss crollata, la Ueo riusciva finalmente a partorire e poi ad adottare le cosiddette Missioni di Petersberg (interventi umanitari e peacekeeping). Più tardi, attivava a Torrejon un proprio centro satellitare e a Firenze un Corpo misto di pronto impiego. Un triste canto del cigno perché con il Trattato di Nizza (2001) la difesa collettiva europea, negli intenti originali di competenza Ueo, veniva riconosciuta come responsabilità Nato e come tale più compiutamente definita nel 2009 con il Trattato di Lisbona. Così, dopo una lunga agonia, nel luglio 2011 finisce la scialba avventura terrena della Ueo.

L’intreccio Nato-Ue continua, e oggi non è ancora del tutto chiarito. Ad esempio, la Nato ha un suo articolo 5, una sorta di uno per tutti, tutti per uno. A sua volta, il Trattato di Lisbona, dopo aver cambiato il nome della Pesd (Politica europea di sicurezza e difesa) in Psdc (Politica di sicurezza e difesa comune), al punto 7 dell’articolo 42 prevede una sorta di mutua difesa, simile all’articolo 5 Nato, che obbliga gli Stati membri a intervenire in caso di necessità.

Il resto è storia dei giorni nostri. L’armata europea prevista a Helsinki non si è fatta, ma con il tempo la Ue si è dotata di un Comitato politico e di sicurezza (Cops), di un Comitato militare e di uno Stato maggiore, attivando in proprio, in varie parti del mondo, missioni autonome della tipologia Petersberg. Il dialogo con la Nato, sempre più o meno faticoso, non si è fermato, istituzionalizzando la partnership con l’accordo Berlino plus. Continua ancora (si può trovare una joint declaration prima o dopo ogni vertice), ma ognuno sta andando per la propria strada.

Ultimamente, c’è stato un certo fervore nel rilancio delle attività di sicurezza e difesa da parte di tutti gli organi della Ue, nell’ambito più generale della nuova European general strategy (Eugs) lanciata dall’Alto rappresentante. In occasione dell’ultimo vertice di Bruxelles, anche il dialogo con la Nato è sembrato maggiormente proficuo.

È dell’8 giugno scorso la lettera aperta al Corriere della sera di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, che riassume la situazione ricordando l’istituzione da parte della Commissione di un fondo europeo per la difesa, a integrazione dei bilanci nazionali: “I tentativi di muoversi verso una difesa comune sono stati parte del progetto europeo sin dal principio, ma sinora queste ambizioni restano in parte insoddisfatte. È giunto il momento di fare di più”.

Parole insolite per un personaggio che si è sempre espresso con estrema cautela. Che sia l’altra faccia della medaglia dell’effetto Trump? È ancora presto per dirlo.


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