L’agenzia stampa statale turca Anadolu ha pubblicato i punti in cui sono posizionate le postazioni militari americane al nord della Siria. Si tratta delle basi di appoggio delle unità speciali dell’esercito statunitense che danno sostegno ai curdi siriani nelle operazioni di liberazione dallo Stato islamico in quell’ampia fascia di territorio.
Queste operazioni, dopo mesi di battaglie e vittorie, sono arrivate a Raqqa, la roccaforte siriana del Califfato, che sta cadendo centimetro dopo centometro con un costo di perdite molto alto per le milizie curde dell’Ypg che compongono il grosso del corpaccione guidato dagli advisor militari americani contro il Califfato. Anche per questo l’informazione rivelata da Anadolu è uno sgarbo: quelle basi, in tutto dieci secondo la stampa turca, sono più o meno segrete, anche se per esempio quella di Rmeilan nell’est è da mesi conosciuta. È evidente che Ankara usi anche la stampa, piuttosto allineata sotto il totalitarismo nemmeno troppo mascherato del presidente Recep Tayyp Erdogan, per infangare le attività curdo-americane.
ANKARA DETESTA LA STRATEGIA USA
Il motivo è proprio nell’accostamento delle due parole: i turchi considerano i curdi siriani un’entità terroristica affiliata al Pkk, e non tollerano che Washington li consideri alleati; gli americani li usano con sufficiente lealtà (per ora), perché sono soldati affidabili e hanno ottenuto grossi risultati. Per cui gli Stati Uniti sono disposti a mettere a rischio le relazioni dell’alleanza con la Turchia, paese Nato e sede della grande base alleata di Incirlik (che contiene anche testate nucleari americane).
LA REAZIONE AMERICANA
Il colonnello Joe Scrocca, che per la Coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico cura gli affari pubblici, ha di fatto confermato l’autenticità della pubblicazione di Anadolu (che ha dato anche dettagli sulla quantità di uomini posizionati in ogni base) al Daily Beast definendola “altamente non professionale” e ha aggiunto che “fornirà al nemico informazioni tattiche sensibili che potrebbero mettere in pericolo la Coalizione e le forze partner”.
LE DENUNCE TURCHE
Lunedì, mentre usciva la prima versione in turco dell’articolo sulle basi americane (poi martedì è stato tradotto anche in inglese), il National Security Council di Ankara denunciava anche il passaggio di mano di alcune armi che gli americani avevano passato ai curdi siriani tracciate fino ai ribelli del Pkk (i curdi combattenti di Turchia) – non è la prima volta che i turchi dicono cose del genere, un altro dei metodi per boicottare l’aiuto americano ai curdi, ma non hanno mai fornito prove concrete.
L’AMBIGUITÀ DI ERDOGAN
Teoricamente la Turchia sarebbe parte integrante della Coalizione a guida americana che combatte il Califfato, ma le mire regionali hanno addirittura portato Erdogan – dopo il riavvicinamento con Mosca dell’agosto scorso – a farsi includere in un processo di pace sulla Siria comandato dalla Russia, che (insieme all’Iran) ha intavolato nella capitale kazaka Astana negoziati alternativi a quelli condotti dall’Onu a Ginevra. Questo genere di ambiguità non è una novità nelle decisioni politico-militari turche: per esempio, sembra concretizzarsi l’acquisto da parte di Ankara del sistema difensivo anti-aereo russo S-400, mentre – come diffuso sempre da Anadolu, e sempre lunedì – le aziende turche Aselsan e Rocketsan hanno raggiunto un accordo preliminare con Eurosam, il consorzio tra le europee MBDA e Thales, per lo sviluppo di un un nuovo sistema antiaereo a lungo raggio.
LA DIVISIONE A WASHINGTON
La questione Turchia viaggia su un doppio binario anche all’interno dell’amministrazione Trump. Da un lato ci sono gli uomini del dipartimento di Stato, che prendono feedback dai diplomatici (soprattutto quelli di base in Turchia) che mostrano preoccupazioni per il ruolo futuro dei curdi siriani, e soprattutto, con più ampio raggio, sul futuro delle relazioni con Ankara. Dall’altra c’è il Pentagono, che affronta la faccenda con più pragmatismo, vede i curdi come alleati efficaci e pensa che possano gestire anche il post-riconquista. Tutto in un’amministrazione dove anche solo parlare di nation-building, pure adesso che lo Stato islamico sta cadendo, è praticamente vietato.