Dopo una riunione del gabinetto di sicurezza protrattosi sino a tarda notte, Israele ha deciso di fare un clamoroso passo indietro sui metal detector della discordia. La loro rimozione dall’accesso alla spianata delle moschee è stata annunciata dal governo unitamente alla decisione di un cospicuo investimento (100 milioni di shekel, pari a 28 milioni di dollari) per un sistema di videosorveglianza “smart” e per un rafforzamento delle forze di sicurezza a presidio del luogo santo a musulmani ed ebrei violato undici giorni fa da tre terroristi che vi hanno introdotto armi con le quali hanno ucciso due poliziotti israeliani.
La mossa dello Stato ebraico arriva al culmine di una crisi che aveva infiammato gli animi della umma islamica e provocato incidenti tra israeliani e palestinesi con vittime da ambo le parti. Gli scontri più duri si sono registrati venerdì, quando i fedeli palestinesi, aizzati dal gran mufti Hussein che aveva chiuso tutte le moschee di Gerusalemme per favorire l’afflusso nella zona contesa, si sono presentati a frotte nei pressi delle barriere poste dalle autorità ebraiche per impedire l’accesso alla spianata. Dopo la scenografica preghiera sull’asfalto, sono cominciati gli scontri più violenti degli ultimi anni, che hanno riacceso la memoria dell’intifada e causato tre morti tra le fila dei rivoltosi. Poche ore dopo, qualche chilometro più in là, un palestinese si introuceva nell’abitazione di una famiglia ebrea a Ramallah, trucidando col coltello tre persone e ferendone un’altra.
Gli eventi in Terra santa si sono immediatamente riverberati in tutto il mondo islamico, dove si è levata alta la protesta per quello che è stato percepito come un tentativo unilaterale di Israele di modificare lo status quo della spianata, la cui amministrazione è affidata al governo giordano. Ed è proprio in Giordania che si è verificato l’episodio più grave della crisi. Domenica sera, in un edificio di pertinenza dell’ambasciata israeliana ad Amman, un giovane operaio di origine palestinese ha accoltellato una guardia israeliana, che ha reagito uccidendo l’aggressore ed un altro cittadino giordano. La tensione già alta tra Israele e Giordania è salita alle stelle, con la pretesa di Amman di interrogare la guardia e Gerusalemme che invocava l’immunità diplomatica garantita dalla convenzione di Vienna. Lo stallo è stato superato ieri grazie ad una telefonata tra il re giordano Abdallah e il premier israeliano Netanyahu, a seguito della quale la guardia e il resto dello staff dell’ambasciata hanno potuto fare ritorno in Israele. Nel corso del colloquio, Abdallah ha rinnovato la richiesta di rimuovere i metal detector.
Nel frattempo, una riunione a porte chiuse del Consiglio di sicurezza Onu si è tenuta a New York, conclusasi con le enfatiche dichiarazioni dell’inviato in Medio Oriente del Palazzo di vetro Nickolay Mladenov che invocava una risoluzione della crisi entro venerdì, onde evitare il rischio di una ripetizione degli scontri della settimana scorsa e per gettare acqua su un fuoco che si è esteso ben oltre il perimetro di Gerusalemme. Poche ore dopo, arrivava la decisione del governo israeliano di rimuovere i metal detector, scelta saggia che dovrebbe teoricamente porre fine alla tensione di questi giorni. Ma sarebbe meglio parlare di una pausa, visto l’irrisolto contenzioso tra le parti e l’ombra di un conflitto di natura religiosa che mai come in questi giorni si è allungata sul territorio più conteso del mondo.