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Mediterraneo. Quo vadis?

Il coinvolgimento dell’Unione europea, dell’Africa del Nord e del Medio Oriente nell’ambizioso tentativo di dare stabilità all’area e creare le premesse per una maggiore e più proficua intesa su tutte le questioni connesse al “vicinato” tra i popoli interessati, è certamente “storico” anche se qualcuno ha ironizzato sull’aggettivo alla vigilia dell’incontro di Marsiglia.

Dal quale incontro non è scaturito il solito documento rituale e trito, ma insieme con tanti “distinguo” e qualche compromesso di troppo forse, che comunque non l’hanno fatto naufragare come ci si aspettava, anche decisioni immediatamente operative che certamente offriranno la base strutturale per l’avvio di una politica di scambi e, ragionevolmente, per un avvicinamento di posizioni al punto da calamitare nel Mediterraneo una strategia di appeasement a tutto campo rivolta perfino a chi geopoliticamente è estraneo alla nuova Unione. L’interesse dei Paesi dell’Est europeo è considerevole, infatti e, attraverso i “buoni uffici” della Germania certamente troveranno il modo di intervenire nel processo se non costituente, in quello immediatamente successivo. Del resto, Sarkozy, dopo il suo “rilancio”, il 23 ottobre 2007, in un discorso a Rabat, richiamandosi al modello fondativo dell’Europa comunitaria, esplicitò il suo disegno dicendo che si augurava che gli Stati contribuissero a “far lavorare insieme persone che si odiavano per abituarle a non odiarsi più”. Nella stessa occasione, il presidente francese sottolineò non solo la centralità del Mediterraneo per l’Europa, ma anche il fatto che l’Europa vi si gioca il suo futuro se vuole adoperarsi, come da tutti viene ammesso, alla costruzione di un progetto di civiltà. E ribadì pertanto la priorità della dimensione culturale del Mediterraneo come “luogo” della civiltà del dialogo, precisando che la scelta stessa della parola “Unione” debba avere un significato simbolico ed evocativo, non diversa¬mente dal significato avuto nella costruzione europea.

Il vertice di Parigi del marzo 2008 ha fatto propria l’iniziativa francese che è poi stata ratificata, sia pure con qualche aggiustamento, dal Parlamento europeo e dal Consiglio europeo che ha incaricato la Commissione europea di pre-disporre proposte che sono state discusse dai parlamenti nazionali e da questi sostanzialmente in toto condivise. L’avviato processo, dunque, ha registrato l’importante tappa richiamata di Marsiglia dove, tra l’altro, è stato stabilito che la Lega degli Stati arabi parteciperà a tutte le riunioni, ed è stato deciso che la sede del segretariato generale dell’Unione per il Mediterraneo sarà a Barcellona. Un altro punto a favore dell’attivismo intelligente ed instancabile della diplomazia spagnola. Non è una conquista di poco conto. Anche perché il segretariato avrà un posto centrale nell’architettura istituzionale del nuovo soggetto politico; si attiverà nel coordinare scambi commerciali e dialogo interculturale; avrà un peso politico enorme nella costruzione di rapporti tesi alla pacificazione mediterranea; sarà dotato di una personalità giuridica e di uno statuto auto¬nomo. Non sfuggirà a nessuno che la “logistica” di un tale organismo ha la sua importanza e non è affatto indifferente che sia un Paese piuttosto che un altro ad ospitarlo.

Certo, non è il caso di fare rivendicazioni improprie ed assolutamente eccentriche rispetto al progetto in esame rilevando come la Spagna vada assumendo sempre di più una centralità che le deriva dall’attivismo dei suoi governanti, ieri di centrodestra oggi di centrosinistra, impegnati nel garantire al loro Paese quel protagonismo attivo che ad altri, per esempio all’Italia, sfugge da tempo nelle istituzioni comunitarie e, più in generale, in quelle internazionali. Già si vocifera, per esempio, che sede della Banca euromediterranea, prevista dal processo di Barcellona e poi dall’Unione per il Mediterraneo, dovrebbe acquisirla la Francia e più precisamente Marsiglia. Se ciò dovesse accadere, l’Italia, tra i Paesi più “esposti” dal punto di vista politico e geografico, rimarrebbe a bocca asciutta. Un’altra volta. E non si capirebbe perché dal momento che se c’è un Paese con una vocazione storica (oltre che geografica) intimamente connessa alla storia mediterranea questo è il nostro. Meraviglie (si fa per dire) della politica del piede di casa… Un sospetto, comunque, lo avanziamo: il nostro Parlamento ed i nostri governi credono poco, o almeno non molto si adoperano perché si possa ritenere il contrario, ad una centralità italiana nelle politiche mediterranee, sia di cooperazione che di rapporti culturali.

Del resto se si guarda alle cifre che vengono stanziate c’è da restare interdetti. Per fortuna, sia pure nel disinteresse generale, l’istanza parlamentare dell’Unione per il Mediterraneo, vale a dire l’Apem, l’assemblea che raggruppa membri delle Camere legislative dei Paesi interessati, oltre ai rappresentanti del Parlamento europeo, sta assumendo una vitalità sconosciuta fino ad oggi e l’Italia è attivamente impegnata sia nelle commissioni permanenti che nel bureau dove un gruppo ristretto ne determina il funzionamento. Pochi sanno, anche tra gli stessi deputati e senatori, che il nostro Paese è stato tra i fondatori dell’organismo rappresentativo nel 2003 e nel 2010 ne assumerà la presidenza di turno.

Abbiamo le carte in regola, dunque, per svolgere un nostro ruolo, tutt’altro che marginale, in seno all’Unione: basta volerlo ed attivarsi di conseguenza. Anche perché per noi è più facile stabilire contatti produttivi di dialogo con chi ha difficoltà a rapportarsi, per motivi storici essenzialmente, con Paesi e popoli che guardano con diffidenza a buona parte dell’Europa dopo le note vicende del Novecento. Gli Stati Uniti del Mediterraneo, come qualcuno chiama la complessa operazione, non possono vedere l’Italia in posizione marginale o defilata. L’area del mondo più dinamica e nuova che attrae maggiori investimenti dall’estero viene ritenuta la sponda sud del Mediterraneo. Dalla Mauritania alla Turchia è in corso uno sviluppo senza prece¬denti. Reggere le sfide che vengono dalla Cina e dall’India, per l’Europa significa riconoscere come fondamentale l’affidamento ad un partenariato mediterraneo aggressivo e produttivo. Cominciando dalla cultura. Jean Monet, padre dimenticato dell’Unione eu-ropea, riconoscendo che il destino continentale non poteva essere prioritariamente economico, come invece è stato, diceva che se si potesse rifondare l’Europa l’avrebbe fatto dalla cultura. Oggi diciamo la stessa cosa. E non è detto che gli scambi e gli investimenti non aiutino, ma servirebbero a poco se tutta la politica di prossimità con il mondo arabo-mediterraneo e, naturalmente, con Israele, si limitasse a fare profitti per le diverse aziende nazionali.

Le risorse, non dimentichiamolo, sono i popoli. Il fine è la pace. Non una pace qualsiasi, ma una giusta pace fondata sul riconoscimento di tutte le sovranità affinché ogni Stato sovrano riconosca un giorno una sovranità più grande, quella mediterranea appunto. I rischi dell’ambizioso progetto sono noti, basta saperli affrontare con la giusta determinazione, senza rinunciare ad impegnarsi neppure nella partita più difficile. Credendoci, naturalmente. E, per quanto riguarda l’Italia, con un pizzico di consapevolezza in più riguardo alle sue possibilità in un campo, anzi in un mare, che mai come oggi offre opportunità di grandissima rilevanza.


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