Il nuovo pacchetto di sanzioni alla Russia, che il Congresso Usa sta predisponendo, potrebbe rivelarsi una mazzata per l’industria energetica europea. E potrebbe aprire la strada alla conquista del mercato del vecchio continente da parte delle concorrenti americane.
Se il piano di sanzioni, passato martedì alla Camera, dovesse essere approvato anche dal Senato e poi ratificato dal presidente Donald Trump, sarebbero a rischio otto grandi progetti energetici. Le sanzioni, disposte per “punire” la Russia per la crisi ucraina del 2014 e per le interferenze nella campagna presidenziale americana, prevedono limitazioni al credito concesso alle aziende russe del settore energetico e militare. A cascata, questo potrebbe porre seri ostacoli alla realizzazione dei gasdotti che portano in Europa il gas russo, e ovviamente notevoli ripercussioni sulle aziende coinvolte, molte delle quali europee.
I PROGETTI A RISCHIO
La lista dei progetti a rischio è stata pubblicata dal sito di informazione Euractiv. Sono otto, colpiti in misura diversa dalle possibili sanzioni. Per alcuni sarebbe in forse la realizzazione stessa, per altri l’espansione o la manutenzione, specie nei tratti sul territorio russo.
Il primo è il Baltic Liquefied Natural Gas, un impianto di estrazione nel Golfo di Finlandia che potrebbe produrre 10 milioni di tonnellate di gas l’anno. Qui gli interessi coinvolti sono oltre la metà russi, con Gazprom, e il resto europei, con Shell, che ha sede in Olanda.
Segue Blue Stream, il condotto fra Russia e Turchia da 16 miliardi di metri cubi l’anno, che interessa molto l’Italia, con Eni al 50% e il resto a Gazprom.
Eni è coinvolta, al 2%, anche in Cpc Pipeline, un oleodotto già esistente che trasporta petrolio dal Kazakistan all’Europa passando per il territorio russo nel Mar Nero. Oltre all’azienda italiana, figurano Bg Overseas (una holding della galassia Shell), la Federazione Russa e la Rosneft-Shell Caspian Ventures Limited. In questo caso le sanzioni potrebbero limitare l’espansione dell’impianto o la sua manutenzione sul territorio russo.
La stessa cosa vale per Nord Stream 1, il gasdotto del Baltico che trasporta gas russo in Germania, che coinvolge la tedesca Wintershall (15,5%), la francese Engie (9%), l’olandese Gasunie (9%) e ancora Gazprom (51%).
Ancor più compromesso Nord Stream 2, il progettato raddoppiamento di Nord Stream 1. Nord Stream 2 è al 100% di Gazprom ma è finanziato da Engie, Shell, dall’austriaca Omv e dalla tedesca Uniper.
A rischio anche l’espansione di Sakhalin 2, impianto di esportazione di gas naturale, che coinvolge Shell Sakhalin Holding (27,5%) e Gazprom (50%), e Shah Deniz and South Caucasus Pipeline. Quest’ultimo è un impianto azero nel mar Caspio che tramite un condotto porta gas in Georgia e che dovrebbe essere ampliato. Ingenti gli interessi della britannica Bp (28,8%), leggermente inferiori quelli della russa Lukoil (10%). Questo impianto peraltro si collegherebbe al Tap, collegando il Caspio con Turchia e Italia e, di fatto, costruendo il primo canale di approvvigionamento europeo di gas estraneo al territorio russo. Anche se gli interessi russi nel progetto restano molto forti.
Infine c’è Zhor Field, un impianto offshore in corso di sviluppo Egitto, dove Al Sisi è fra i principali alleati di Putin. Il coinvolgimento maggiore qui è di Eni (60%), seguono la russa Rosneft (30%) e Bp (10%).
LE PREOCCUPAZIONI DELL’UE
Gli interessi delle aziende europee nei vari progetti sono miliardari, e l’Unione si deve barcamenare: da un lato non ama Nord Stream 2 perché consolida la dipendenza dalla Russia, dall’altro vuole tutelare gli interessi delle aziende europee, che hanno puntato molto sui vari gasdotti.
A Bruxelles sono “preoccupati” per le decisioni che gli Stati Uniti sembrano in procinto di assumere, lo ha detto esplicitamente il portavoce della Commissione europea Margaritis Schinas. La preoccupazione, ha specificato Schinas, riguarda “l’indipendenza energetica dell’Ue e i nostri interessi sulla sicurezza energetica. Stiamo attivando tutti i canali diplomatici per indirizzare queste preoccupazioni agli Usa. Per noi l’unità del G7 riguardo le sanzioni è di importanza cruciale”.
Chi spinge per la realizzazione degli impianti, e dunque per l’ammorbidimento delle sanzioni, è soprattutto Berlino, che con Nord Stream 2 si troverebbe nella posizione di poter smistare il gas russo in Europa. Nei progetti russo-tedeschi, infatti, l’apertura del doppio canale sul baltico consentirebbe di chiudere il corridoio ucraino, attualmente principale via di transito del gas.
Ma c’è chi, in Europa, la vede in maniera opposta rispetto ai tedeschi, ovvero i paesi dell’Est come Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia e gli Stati baltici. Tutti contrari al Nord Stream 2, che per loro aumenterebbe la dipendenza energetica dalla Russia. Ma non è l’unico motivo: con il consolidamento di un nuovo canale di approvvigionamento, l’Ucraina, ostile a Putin, potrebbe subire un colpo mortale. E si sa quanto l’espansionismo russo preoccupi i paesi dell’Est.
IL MERCATO FA GOLA AGLI USA
Di certo Bruxelles la situazione è tesa, e lo stesso vale per i vertici delle principali aziende energetiche europee. I quali certamente, in caso di sanzioni, vaglieranno la possibilità di smobilitare rispetto ai loro investimenti russi per non incappare in una stangata made in Usa. La Commissione in questa fase sta dalla parte di Berlino e il presidente Jean Claude Juncker ha chiesto esplicitamente che le decisioni del Congresso non includano le aziende europee, rivendicando l’indipendenza dell’Ue rispetto a decisioni prese fuori dai suoi confini.
La partita è delicatissima e vede intrecciarsi interessi politici ed economici, anche – e forse soprattutto – a Washington. Se le sanzioni colpiranno i gasdotti a farne le spese sarebbero, oltre agli interessi russi, quelli europei e nel mercato potrebbe inserirsi proprio gli americani. L’ha suggerito il Sole 24 ore, secondo cui uno degli obiettivi finali degli Stati Uniti, in futuro, sarebbe “vendere il loro gas naturale liquefatto (si chiama Lng e può essere trasportato via nave, ndr) in Europa”.