Parliamoci chiaro. Emmanuel Macron fa il suo mestiere e lo fa benissimo. Con una mano, si tiene stretto alla Merkel, e guadagna per Parigi un’ennesima “indulgenza” europea verso conti pubblici francesi messi male quasi come i nostri. Con l’altra mano, saluta e accoglie Donald Trump, mostrando che Parigi ha una sua politica estera, e si sfila dal coro europeo (di voci bianche) meccanicamente antitrumpista. Con la testa, mantiene sempre vivo il contatto con Londra, specie sui temi della sicurezza e della difesa. Poi, con i piedi, si occupa delle questioni minori: scalciare l’Italia e umiliarla sia sulla Libia, sia sull’immigrazione, sia su Fincantieri.
E infatti il problema non è suo, ma tutto nostro. Ancora un mese fa, a cavallo tra il primo e il secondo turno delle presidenziali francesi e poi delle elezioni legislative, in Italia scorreva lo champagne (e la saliva…), e si levavano applausi scroscianti dinanzi alle immagini delle bandiere Ue, dell’Eliseo, con colonna sonora dell’Inno alla gioia.
Rileggete le incredibili rassegne stampa di quei giorni, e – peggio mi sento – le dichiarazioni politiche, a sinistra come a destra. Tutti macronisti, di andata e di ritorno, ora improvvisamente desaparecidos.
C’è un pezzo di élite italiana che – molto semplicemente – non sa leggere il quadro mondiale, che non capisce cosa accade, che si fa incartare e intortare. E c’è un altro pezzo di quello stesso establishment – è l’ora di dire anche questo – che si è fatto “acquisire” da interessi non italiani, rendendoci (in un caso inconsapevolmente, e nell’altro con piena coscienza) gregari, servi, marginali. Inutile dare la colpa agli altri. È il momento di guardare e guardarci in casa.