“Avere dei confini protetti, come sta imparando a caro prezzo l’Europa, è una parte fondamentale di quella che chiamiamo sicurezza nazionale”. Il messaggio in bottiglia arriva dall’Australia ed è firmato nientemeno che da Peter Dutton, ministro per l’Immigrazione e la Protezione dei confini. Un riferimento esplicito al Vecchio continente alle prese da qualche anno con flussi apparentemente ingestibili di immigrati in arrivo dal sud-est del Mar Mediterraneo. Un messaggio che nel dibattito pubblico europeo – e in particolare italiano – è stato bellamente ignorato, e che invece qualche lezione utile per noi l’avrebbe pure. Perché a fronte di una Italia che è per eccellenza il paese che subisce i flussi migratori, l’Australia è per eccellenza il paese che quei flussi migratori prova a governarli. Con una selezione attenta degli arrivi ma senza improbabili chiusure ermetiche dei confini. Come fa Canberra? In parte lo spiega proprio Dutton nella sua lettera.
Una missiva che cita l’Europa, come si è detto, ma che è indirizzata innanzitutto ai concittadini australiani. Dutton infatti rivendica che sono passati tre anni da quando l’ultimo barcone con immigrati illegali a bordo è arrivato sulle coste australiane. Cosa è successo da allora? Dal 2014 il governo dei Liberali di Tony Abbott e poi quello di Malcolm Turnbull hanno avviato l’Operazione Confini Sovrani (Operations Sovereign Borders), avviando quelli che gli europei chiamano in maniera un po’ denigratoria “respingimenti”. Nel 2013 c’erano stati 37 sbarchi illegali sulle coste dell’Australia – decisamente meno accessibili di quelle italiane o europee, va detto – e in 5 anni erano arrivati via mare 50.000 immigrati. Poi il governo annunciò che non sarebbe stato più consentito a nessuno di arrivare nel Paese senza permesso: nell’ambito dell’Operazione Confini Sovrani, la prua dei barconi sarebbe stata “girata” dalla Marina militare e le carrette del mare rispedite al loro porto di provenienza. Nel caso le navi non fossero in condizioni di tornare sui loro passi, la Marina australiana – dopo aver prestato tra l’altro soccorso ai migranti che ne avessero bisogno – si sarebbe occupata di garantire un viaggio di ritorno sicuro via nave (mettendo a disposizione nuove imbarcazioni ad hoc) o via aria (con voli charter dedicati). Detto, fatto. Risultato di questa politica: dal luglio 2014 a oggi, gli sbarchi illegali si sono ridotti a zero. Sempre dal luglio 2014, fa sapere Dutton, anche i tentativi dei trafficanti di uomini sono diminuiti: in tre anni infatti sono stati bloccati “soltanto” 18 barconi. Mentre è continuata senza sosta la lotta per smantellare le reti criminali, in collaborazione con gli Stati vicini, arrivando ad arrestare 539 di quelli che in Australia chiamano “people smugglers”.
Perché optare per i respingimenti? Dutton offre due spiegazioni. Punto primo: è questione di sicurezza nazionale. “Abbiamo tutto il diritto di sapere chi vuole entrare nel nostro Paese, e anche di controllare come voglia farlo e in quale momento”. Principio piuttosto basilare, ma forse ormai distante anni luce dal modus pensandi di un’Europa che ha subappaltato una parte della sua politica migratoria a un autocrate come il presidente turco Erdogan e un’altra parte a delle Organizzazioni non governative (Ong). Punto secondo: è questione umanitaria. “Come continuiamo a vedere da quanto accade nel Mediterraneo – scrive Dutton – decine di migliaia di persone rimangono pronte a intraprendere questi viaggi pericolosissimi. Più di 2.300 persone sono morte quest’anno in Europa durante tali viaggi, dopo le oltre 5.000 decedute lo scorso anno. Fino a pochi anni fa, le persone morivano anche mentre tentavano di traversare i mari per arrivare in Australia. Tuttavia l’Operazione Confini Sicuri ha messo fine a queste tragedie chiudendo la strada che porta via mare al nostro paese. Questa operazione ha avuto successo proprio mentre in tanti dicevano che non sarebbe riuscita nel suo intento. E questo successo è confermato mese dopo mese”, conclude il ministro australiano.