(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)
Con tutto quello che avrebbe da fare come ministro degli Esteri in questo periodo così intenso di problemi per l’Italia, e con questo caldo targato Lucifero, che mette in crisi pure l’impianto di condizionamento dell’aria nella Galleria degli Uffizi, Angelino Alfano deve dividersi fra gli incontri col collega di governo Graziano Delrio, per conto di Matteo Renzi, e con Gianfranco Miccichè, per conto di Silvio Berlusconi, alla ricerca del modo con cui garantirsi la sopravvivenza politica nel nuovo Parlamento. Dove lui e gli amici del Nuovo Centrodestra, o come diavolo si chiama il partitino creato quattro anni fa separandosi da Berlusconi, rischiano di non entrare per quello che Giuseppe Saragat usava chiamare “il destino cinico e baro” quando il suo Psdi raccoglieva meno voti di quanti ne aspettasse, o il leader socialdemocratico riteneva di meritare.
Disprezzato dal segretario del Pd per non avere saputo mettere a frutto le posizioni di potere tenute nei governi prima di Enrico Letta, poi dello stesso Renzi e infine del conte Paolo Gentiloni, e da Berlusconi, o dal giro ristretto di Arcore, per il tradimento rimproveratogli quando non si dimise da ministro, con i suoi amici, per protesta contro la decadenza dell’allora Cavaliere da senatore, Alfano è tuttavia corteggiato da entrambi, sia pure per interposta persona. I suoi voti, per quanto pochini, potrebbero fare comodo sia a Renzi sia a Berlusconi, tanto a livello locale, specie in Sicilia, dove si voterà il 5 novembre, quanto a livello nazionale.
Novello Figaro, se non di rossiniana memoria, almeno di ricordo degli anni Sessanta, quando usci nelle sale cinematografiche un omonimo e divertente film recitato anche da Totò, Alfano è cercato di qua e di là, di sotto e di sopra. E anche lui cerca, sia chiaro, perché teme giustamente di avere lavorato per quattro anni a vuoto.
Le insidie maggiori non vengono tuttavia al ministro degli Esteri e amici da Renzi, che mostra di essersi pentito di averne deriso la inconsistenza elettorale quando pensava di avere concordato con Berlusconi e con Beppe Grillo una legge elettorale comoda a tutti e tre. Le insidie maggiori vengono ad Alfano dagli ex alleati di centrodestra.
Il segretario leghista Matteo Salvini e la sorella dei Fratelli d’Italia Giorgia Meloni non lasciano ormai trascorrere giorno senza diffidare Berlusconi dall’accordarsi col suo ex delfino, a suo tempo declassato per mancanza del “quid”, minacciando come rotazione il rifiuto della già difficile ipotesi di ricostituzione del centrodestra.
Ma anche dentro Forza Italia, a parte l’utilità di Alfano avvertita in Sicilia dal corregionale Miccichè, i colonnelli, capitani, tenenti, brigadieri e caporali di Berlusconi non sanno che cosa rimproverare di più al ministro degli Esteri e ai suoi amici: il “tradimento” di quattro anni fa o le candidature sicure alla Camera e al Senato che gli alfaniani potrebbero strappare al presidente del partito in caso di riappacificazione. Tali candidature sarebbero infatti a discapito inevitabile di quelli che si considerano i fedelissimi di Berlusconi, rimastigli accanto nei momenti delle maggiori difficoltà, quando tutto sembrava davvero finito e compromesso per l’uomo di Arcore.
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