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Da dove sbarcano i nuovi rischi per la sicurezza nazionale

Godiamoci l’Estate, questa Estate di Despacito e sbarchi.
Secondo un nuovo studio del Centro Studi Machiavelli, “nel 2065 la quota di immigrati di prima e seconda generazione in Italia potrebbe superare il 40% della popolazione totale”.
Inquietante lo scenario riportato dal documento del think tank animato dal deputato leghista Guglielmo Picchi, Daniele Scalea e Dario Citati: “Intorno al 2065 in Gran Bretagna l’etnia britannica dovrebbe perdere la maggioranza assoluta nel proprio Paese”.
Il dibattito sulle politiche migratorie non tratta della questione demografica: è un tabù del politically correct della Terrazza Parioli e dei salotti a là page.

E’ una convergenza di fattori incontrollabili: il declino demografico europeo (dal 22% della popolazione mondiale nel 1950 al 7% del 2050) ed esplosione demografica africana (dal 9 al 25% della popolazione mondiale in cento anni).
Il tasso di fertilità dell’Italia è crollato da 2.7 bambini per donna a soli 1.5 per nucleo.
Gli statistici posizionano il “livello zero” della crescita della popolazione a 2.1 bambini per donna, tanto che lo scorso anno il numero di morti ha superato quelli di nuovi nati.
Quella demografica è una tematica di profonda connessione con i fattori geopolitici.
Esiste una vasta fascia sahariana e nordafricana di deboli stati nazionali, attraversati da flussi di criminalità transnazionale e pericolosi jihadisti, che rischiano di disarticolarsi e quelli stabili di correre gravi rischi.
Un “arco di crisi” che va dalla Mauritania fino all’Egitto e continua fino a comprendere tutto il complesso network mediorientale.
Il Sahel è la sola regione del mondo a mantenere un tasso di fecondità tra 6 e 7 figli per donna, contemporaneamente ad un abbassamento del tasso di mortalità infantile.
Il Mali presenta un tasso di crescita del 3% all’anno, che significa che la sua popolazione è raddoppiata ogni 24 anni. Quella della Costa d’Avorio di 6 volte e mezzo dal 1960 a oggi.
La popolazione di Niger, Mali, Burkina Faso e Chad si aggirerà tra i 120 e i 132 milioni di abitanti nel 2035, contro i 67 odierni. In Niger, in particolare, ogni anno si riverseranno sul mercato del lavoro 576 mila giovani contro i 240 000 di oggi.
Il PIL procapite si abbasserà in tutta la regione, e tantissimi giovani prenderanno la strada della migrazione.

Come scrivono i ricercatori Massimiliano Boccolini e Alessio Postiglione nel loro “Sahara. Deserto di mafie e jihad” (Castelvecchi Editore), “dall’espansione delle attività dell’Isis, passando per i traffici dei contrabbandieri di armi e droga, al ruolo delle mafie italiane, dalle attività del Fronte Polisario fino al ritorno alle armi dei Tuareg, il deserto del Sahara, un tempo meta degli europei che volevano trovare se stessi, è ora off limits per tutti gli occidentali.”
Un’area sotto ad un velo di ignoranza, “un pezzo di mondo a noi vicinissimo, ma avvolto dall’oscurità di una informazione poco incline a raccontare ciò che non si presta a spettacolarizzazioni o a semplificazioni.”
In fin dei conti, concludono Postiglione e Boccolini, “i traffici di droghe ed esseri umani provenienti dall’Africa che interessano l’Italia hanno origine nel Sahara e nel Sahel.”

L’Italia e l’Europa ne risentono sulla sicurezza nazionale.
Il Mediterraneo è contemporaneamente un luogo di scontro di civiltà che di scambi di popoli: campo di battaglia e di rapina, crocevia di traffici e migrazioni, contatti pacifici e fruttuosi.
I romani risolsero i propri problemi di sicurezza estendendo i propri confini geopolitici in Africa.
Posizionarono il limes non cercando di “aiutarli a casa loro” ma superando la demarcazione fra “noi” e “loro”, in una comune prospettiva strategica e culturale.

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