Da sabato 12 agosto il generale-politico che controlla la regione orientale della Libia, Khalifa Haftar, è a Mosca. La Russia è uno dei pochissimi stati, insieme all’Egitto e agli Emirati Arabi, che offre protezione diplomatica ad Haftar. Si tratta del terzo meeting del genere nel giro di poco più di un anno, e ogni volta che il Cremlino lo ospita il generale torna in patria sentendosi rafforzato, anche per l’impatto mediatico che i suoi viaggi russi si portano dietro — e dunque, per proprietà comparativa, Fayez Serraj, il premier incaricato dall’Onu di formare un governo che riesca a unire tutte le anime che in Libia si detestano, ne esce indebolito, essendo Haftar la principale delle opposizioni a Serraj (e a tutto ciò che Serraj incarna).
Val la pena ricordare due aspetti: la Russia gioca la partita libica con l’interesse del mediterraneo, ma muove le sue carte coprendole con l’alone della mediazione. Inoltre Mosca non è l’unico paese convinto che Haftar vada incluso nel processo di riunificazione nazionale. Tra i primi a sostenerlo sono stati la Francia e l’Italia, Roma per altro è stata anche tra i primi a pensare di includere la Russia nel dossier libico. E i russi hanno avviato dallo scorso anno i propri interessati contatti, anche con Serraj e rappresentanti delle milizie tripoline e misurtine che appoggiano il piano onusiano. È vero però che il sostegno che i russi danno ad Haftar dev’essere qualcosa che, quantomeno a porte chiuse, incoraggia le mire egemoniche e le posture distruttive del generale sul piano Onu,. E il presidente Vladimir Putin usa la situazione per sottolineare la sua distanza dall’Occidente: la Russia prese posizione contro l’azione del 2011 per deporre Gheddafi, Putin la considera un fallimento occidentale, e non perde occasione di ricordarlo e sottolineare le differenze con la linea tenuta dalla Nato.
Venerdì il generale Haftar s’è incontrato con il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov, con il delegato presidenziale per la crisi, Lev Dengov, e con alcuni alti funzionari della Difesa. Haftar vuole armi (stessa richiesta fatta durante un incontro speciale avvenuto sul ponte della portaerei russa Kuznetsov lo scorso anno), consegne che dovrebbero violare un embargo Onu su cui pure la Russia s’è allineata (anche se clandestinamente armi vendute da Mosca arrivano in Libia-lato-Haftar dall’Egitto). E, in un territorio in guerra come quello libico, le armi significano potere, e in più certi passaggi danno un segno di supporto politico.
Intervistato dal CorSera in questi giorni Haftar ha chiesto 20 miliardi di euro all’Europa: una lista della spesa d’armamenti che va da proiettili a droni con cui il generale promette di poter controllare il confine meridionale, rubinetto dell’immigrazione trans-mediterranea. Promessa ambiziosa anche perché Haftar al momento non ha presa su quel territorio, in mano alle tribù.
Ma la richiesta di Haftar si collega a una critica aspra nei confronti della missione anti-immigrazione concordata dal governo italiano in partnership con Serraj, definita dal generale dell’Est una violazione della sovranità nazionale libica, su cui aveva già chiesto l’intervento egiziano durante una visita pochi giorni prima del viaggio a Mosca – il Cairo ha escluso di prendere posizioni contro l’Italia.