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L’insolvenza di Air Berlin, le mire di Lufthansa, l’aiutino di Merkel e gli strilli di Ryanair

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A Ryanair la vicenda dell’insolvenza di Air Berlin non convince. La compagnia aerea low cost irlandese sente odore di bruciato e sollecita l’antitrust a Bruxelles di occuparsi approfonditamente della vicenda.

Air Berlin, il più grande vettore low cost tedesco, ha annunciato martedì l’insolvenza. Una notizia bomba, non solo perché si tratta della seconda compagnia aerea tedesca per grandezza, ma anche per via del periodo di vacanze e perché tra sei settimane si vota in Germania (fattore di non poco conto). E infatti il governo federale ha reagito prontamente, facendo sapere di aver attivato un prestito ponte per 150 milioni di euro attraverso il KfW (l’Istituto di credito per la ricostruzione, nato nel 1948 per amministrare i fondi del Piano Marshall, di cui lo Stato tedesco detiene l’80 per cento mentre il restante 20 è in mano ai Länder). L’importo dovrebbe garantire il traffico aereo di Air Berlin per i prossimi tre mesi.

Non è però solo a Ryanair che questo prestito è sembrato un aiuto di Stato bell’e buono (e in quanto tale vietato dall’Ue, perché distorce la libera concorrenza). Ma Angela Merkel, ieri in un’intervista ha smentito, spiegando che con quei soldi si vuole evitare che centinaia di migliaia di tedeschi che hanno il biglietto aereo Air Berlin si ritrovino bloccati in giro per il mondo.

L’altro fattore che convince poco Ryanair in tutta questa vicenda è il grande interesse mostrato immediatamente da Lufthansa. E in effetti il più grande vettore del Paese segue da tempo con grande attenzione l’evolversi della situazione.

Che gli arabi di Etihad, che ne avevano acquistato nel 2011 il 29,2 per cento di Air Berlin, si fossero stancati era cosa risaputa. Come già nel caso di Alitalia gli sceicchi degli Emirati Arabi non avevano più voglia di pompare soldi in un pozzo senza fondo. Solo l’anno scorso Air Berlin aveva perso 780 milioni di euro, mentre l’ammontare complessivo del debito si aggira oggi su 1,2 miliardi di euro. La situazione era diventata poi particolarmente critica in marzo dopo una riorganizzazione dei piani di volo. Diverse rotte erano state cancellate e gli aerei spesso in ritardo avevano indotto molti passeggeri a scegliere altri vettori. 8600 dipendenti della compagnia temono per il loro posto di lavoro.

I vertici della compagnia hanno fatto sapere di voler gestire l’insolvenza internamente senza ricorrere alla nomina di un commissario esterno. Le due compagnie Fly Niki e Leisure Cargo non peraltro interessate dalla procedura.

Che tra Lufthansa e Air Berlin vi fossero da tempo in corso delle trattative è stato confermato dai vertici del vettore low cost, il che subito dopo l’annuncio dell’insolvenza ha fatto guadagnare al titolo di Lufthansa 2 punti, mentre quello di Air Berlin è stato tolto dalle contrattazioni. Ma Lufthansa non è l’unica compagnia interessata. Tra quelle in pole position ci sono anche i britannici di Easyjet.

Ma se la decisione di dichiarare l’insolvenza era nell’aria da tempo, il fatto che la procedura sia stata aperta a ridosso delle elezioni e in pieno periodo di vacanze è da ritenersi solo casuale, chiedeva ieri lo Spiegel online a Heinrich Großbongardt, uno dei massimi esperti del settore. Secondo Großbongardt, i manager di Etihad molto probabilmente non hanno tenuto conto di questi due fattori, elezioni e periodo di vacanze. Dopo la dipartita del ceo James Hogan a inizio di quest’anno, i vertici avevano fatto sapere che non appena possibile avrebbero staccato la spina anche a Air Berlin.

Decisiva è stata invece la tempistica, per spingere la grande coalizione di Berlino ad agire immediatamente. Né l’Unione (Cdu e Csu) né l’Spd volevano ritrovarsi a sole sei settimane dalle elezioni con questa patata bollente in mano. Già, ma ora a pagare il conto è il contribuente tedesco, faceva notare l’intervistatore dello Spiegel online. Resta poi da chiedersi, se interventi tampone di questo tipo siano sensati. Secondo l’esperto sì, se non si voleva mandare a casa dall’oggi al domani gli 8600 dipendenti di Air Berlin  e lasciare a piedi centinaia di migliaia di passeggeri. Non va poi dimenticato, precisava Großbongardt che, nel momento della vendita il primo credito a dover essere rifondato è quello nei confronti dello Stato.

È vero che di Air Berlin, fondata nel 1978 e per un lungo periodo una delle compagnie low cost di maggior successo, ormai resta poco più di una carcassa. Restano però gli slot e i diritti di atterraggio e decollo che costituiscono asset assai appetibili e che potranno fruttare diverse centinaia di milioni. Certo, una cifra comunque non sufficiente per estinguere la montagna di debiti che la compagnia ha accumulato e gli sceicchi dovranno comunque rinunciare a parte delle loro pendenze.

Ed è probabile che alla fine, chi trarrà maggior profitto sarà Lufthansa. Ma non tanto e solo perché si sarà scrollata di dosso un concorrente fastidioso, ma perché l’insolvenza di Air Berlin sarà un importante fattore di crescita per Eurowings, la sua low cost. Se però Lufthansa e Eurowings dovessero veramente portarsi a casa i pezzi più appetibili di Air Berlin, allora Michael O’Leary, il grande boss di Ryanair, non avrebbe forse tutti i torti a vedere nel prestito ponte un complotto contro la sua compagnia.



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