C’è un grande traffico pedonale sulla scalinata del Campidoglio. Traffico di turisti, i soliti che fortunatamente continuano ad arrivare nella Capitale d’Italia, per quanto brutte siano le notizie che ne ricevono nei loro paesi. Per fortuna la curiosità e la cultura, quella naturalmente del passato, tirano ancora.
Meno consolante però è il grande traffico di assessori, dirigenti, assistenti e quant’altro del Comune: quelli in discesa, cacciati dalla sindaca grillina Virginia Raggi, che ormai non bada più alle forme, senza cercare di invogliarli a “spontanee” dimissioni, e quelli in salita, che si portano appresso pesanti valigie perché provengono generalmente da fuori città, provincia e regione: non ancora dall’estero, ma vedrete che prima o poi la prima cittadina di Roma e quanti la consigliano, e noi imprudenti giornalisti scambiamo per commissari politici, allungheranno lo sguardo anche oltre i confini nazionali. In Venezuela, per esempio, c’è un bel po’ di disoccupazione di classe dirigente in cui poter pescare. Parlo naturalmente del Venezuela vero, non di quello della dittatura del generale cileno Pinochet spostata sul mappamondo di Montecitorio dal vice presidente grillino Luigi Di Maio. In previsione del cui arrivo a Palazzo Chigi hanno cominciato a rimuovere tutte le carte geografiche appese alle pareti.
Il sovranismo, sotto tutte le sue forme, che accomuna un po’ grillini, leghisti e fratelli d’Italia, non a caso ritrovatisi come elettori l’anno scorso, nel ballottaggio col candidato del Pd Roberto Giachetti, a sostenere la Raggi, è un po’ in tensione in questi giorni.
La gara che la sindaca di Roma ha ormai ingaggiato col potente presidente americano Donald Trump a chi fa più cambiamenti fra Campidoglio e Casa Bianca, rimuovendo e assumendo, può bene inorgoglire il sovranismo nazionale. Ma c’è anche un sovranismo, diciamo così, locale da rispettare, nel senso del rapporto fra l’amministrazione, appunto locale, che un sindaco è chiamato a guidare e il territorio che lo ha eletto, peraltro a scrutinio diretto. Va bene, Roma è ridotta male. Ma è possibile che all’interno delle sue mura, del suo raccordo anulare, della sua regione, non si riesca a trovare, o lo si trovi sempre più di rado uno capace di fare l’assessore, il dirigente, il consulente?
Persino al Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio, che storpia polemicamente nomi e cognomi a tutti quelli da cui dissente con la sola eccezione dei grillini, almeno per quanto io ricordi, hanno cominciato a sbarellare. E a chiedersi che cosa stia accadendo lungo la scalinata del Campidoglio e nei dintorni. Il furto, reale o metaforico, di cose e di competenze, che in quel giornale vedono dappertutto e di cui reclamano la severa punizione, si è finalmente guadagnato le virgolette di Travaglio, che le ha applicate alla Raggi e ai suoi consiglieri o consigliori che “rubano” dalla mattina alla sera a Livorno il nuovo assessore capitolino al bilancio. Il cui merito sarebbe stato quello di avere salvato l’azienda della raccolta dei rifiuti della città toscana ora a 5 Stelle col ricorso al concordato preventivo, anche a costo di finire sotto indagine e processo.
La cura del concordato preventivo per un’azienda comunale in dissesto era stata anche quella proposta per l’azienda dissesstatissima dei trasporti romani Atac da un direttore generale, anche lui assunto da fuori, che ha dovuto però rifare proprio per questo le valigie e tornarsene nella sua Lombardia. Gi si erano opposti non solo i numerosi sindacati che hanno contribuito a rendere l’Atac quella che è, ma anche la sindaca Raggi in persona e l’assessore del bilancio Andrea Mazzillo. Che però prima ha perduto alcune “deleghe”, cioè competenze, e poi il posto per essere sostituito appunto da quello che a Livorno ha salvato l’azienda dei rifiuti con la procedura fallimentare.
Non si capiscono allora i motivi dell’allontanamento cui è stato costretto l’ex direttore generale e capo dell’Atac. Ma soprattutto non si capisce perché ci si ostini a lasciare la sede dell’amministrazione comunale di Roma in Campidoglio, e a non trasferirla nel complesso di quello che fu l’ospedale Santa Maria della Pietà. Pietà, appunto, per la Capitale.