C’è una speciale unità della Cia, il Counterintelligence Mission Center, che il direttore Mike Pompeo ha deciso, inusualmente, di mettere sotto il proprio diretto controllo. Ne parla il Washington Post in un articolo in cui raccoglie le opinioni e le preoccupazioni di agenti in attività e fuori servizio. Il motivo dell’inquietudine è che l’unità è quella che si occupa di controspionaggio, attività per gli aspetti generali delegata all’Fbi, e che dunque ha accesso al dossier Russiagate.
IL PERCHÉ DEL NERVOSISMO
Il senso del nervosismo che emerge dai sottoposti, anche tra gli altri ranghi dell’agenzia, è riassumibile così: perché il direttore, intimo amico e confidente del presidente, si è intestato formalmente la direzione del Center? Ossia: c’è il rischio che lo abbia fatto per avere un occhio fissato costantemente sulle informazioni a proposito del processo che scava sulle eventuali collusioni tra il comitato elettorale che ha portato alla vittoria Donald Trump e le interferenze russe nelle elezioni presidenziali?
LA CIA: “È RIDICOLO”
Ryan Trapani, il portavoce della Cia, ha liquidato le testimonianze riportate da fonti anonime al Washington Post come “ridicole”. Dice Trapani che l’agenzia non segue il Russiagate, il centro di controspionaggio ha soltanto fatto da “condotto di passaggio” per alcune informazioni raccolte che poi sono state conferite all’Fbi e ora sono in mano allo special consuel, Robert Mueller, che il dipartimento di Giustizia ha messo alla guida dell’inchiesta sulla Russia.
POMPEO, LA CASA BIANCA…
Però, si chiedono gli intervistati dal WaPo, perché visto che Pompeo avrebbe potuto comunque supervisionare questa unità come tutte le altre di cui la Cia è composta, non ha affidato la sua direzione a un sottoposto, ma ha chiesto di essere direttamente ragguagliato di ogni sviluppo e informazione ottenuta? Il dubbio cresce se si considera che attualmente il presidente Trump è in una fase complicata: lo stratega politica Steve Bannon è fuori dalla Casa Bianca, e i normalizzatori interni hanno avviato un repulisti dei falchi più rivoluzionari, e vicini al presidente, tra i collaboratori. Pompeo, che frequenta il 1600 di Pennsylvania Avenue quasi più di Langley intrattenendo più o meno quotidianamente conversazioni personali (ma coperte dal segreto) con il presidente, potrebbe essere se non l’ultima uno degli ultimi alleati sinceri per il Prez. Non è la prima volta che il direttore finisce sotto l’accusa di voler politicizzare troppo l’agenzia.
… E IL RUSSIAGATE
In passato ha usato anche toni forti contro la Russia, per esempio su ciò che concerne la gestione/presenza nel conflitto siriano, scostandosi dalla visione più strettamente traumpiana del riavvicinamento a Mosca. Però sul Russiagate ha avuto un atteggiamento più morbido: per esempio, in un intervento al Security Forum di Aspen non ha potuto negare l’interferenza – c’è stata, e l’agenzia che Pompeo dirige ne ha scritto nero su bianco –, però sulle eventuali collusioni è sembrato più incline alla linea Trump: ossia, sono fake news costruite dai democratici che rosicano per la sconfitta e non hanno altre carte politiche da giocare. Servono prove, è la posizione di Pompeo.
UN FEDELE ALLEATO
“Ci mette la buona volontà” per portare avanti il disegno – narrativo – della Casa Bianca, scrive il WaPo. Per esempio, dopo le dichiarazioni sgangherate sui suprematisti di Charlottesville, il direttore della Cia era in Tv, alla CBS, a spiegare che le parole del presidente “erano state fraintese”. Con lui, anche forse per la maggiore fedeltà dimostrata finora, Trump ha un rapporto notevolmente migliore di quello che ha con i direttori delle altre agenzie di intelligence. È sulla base di queste relazioni che nascono quei dubbi sul controllo che Pompeo ha voluto imporre al centro di controspionaggio della Cia.