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Il fattore umano: quella cosa chiamata “rancore”

Daniele Capezzone, fattore umano, rancore

A volte ti arriva attraverso il web o i social, a distanza, più o meno inattesa. Altre volte direttamente, di persona o via mail. Altre volte ancora involontariamente, direi impercettibilmente, attraverso uno sguardo, una piccola smorfia, un gesto inavvertito. La cosa divertente è che spesso “sfugge” proprio a chi ama mostrare autocontrollo e nervi saldi, ma poi – evidentemente – non riesce a gestire tutte le emozioni.

Che cos’è? È una manifestazione di rancore: immotivata per te che ne sei occasionalmente destinatario, ma psicologicamente motivatissima per chi è abitato da sentimenti negativi. Gli inglesi direbbero: haunted“, proprio come una casa infestata da fantasmi o spiriti cattivi.

Ti verrebbe da abbracciarli, confortarli, consigliar loro qualche pagina di Freud o (meglio ancora) di Adler. Ma servirebbe a poco, temo. Meglio ringraziarli – indirettamente – per l’occasione che ti danno di ricordare come occorre sforzarsi di comportarsi. E cioè in direzione opposta alla loro.

Fare il proprio meglio, e ammirare il meglio altrui. Non lamentarsi mai della cattiva sorte, quando c’è. Riconoscere i talenti degli altri senza invidie. Promuovere (direi: “volantinare”!) le buone cose concepite e realizzate da altri. Coltivare il proprio giardino, senza dare occhiatacce al “giardino” accanto, anzi offrendo sempre “acqua” se ne hai.

Missione impossibile? Non è detto, non è detto… Sta qui il cuore dell’umanesimo (liberale, agnostico, sempre in cerca, aperto, illuminato) al quale saremmo chiamati.

 

 


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