Il Caro Leader Kim Jong-Il, figlio del padre della patria Kim Il-sung, seguito poi sulla medesima strada dal figlio Kim Jong-un, pensò bene di iniziare un programma nucleare militare, dando l’avvio allo sviluppo di un arsenale atomico e dei relativi vettori di lancio. La denuncia dell’adesione al Trattato di Non Proliferazione (Tnp) risale al 10 gennaio 2003.
Allo stato attuale, gli esperti stimano che la Corea del Nord possieda una quantità di plutonio arricchito sufficiente per una dozzina di testate nucleari per missili. In effetti l’ultimo test (il sesto, essendo il primo datato 2006) è stato condotto con una carica miniaturizzata ad alto potenziale. In quanto allo sviluppo del vettore, i live show sono ormai frequente argomento di cronaca. Si tratta di attività prototipiche? Forse, ma sono pur sempre dimostrazione che il giovane dittatore sta procedendo sulla propria strada, incurante del contesto internazionale.
Ciò gli permette di fare l’arrogante, visto che l’eredità paterna e del nonno consiste anche in un esercito di un milione di uomini e altri tre milioni da mobilitare, con 5000 carri armati ed un fornitissimo parco di artiglieria (anche missilistica e in parte incavernata) a breve e media gittata. La linea di confine smilitarizzata che taglia in due la penisola coreana è lunga 241 Km e larga quattro, con larga parte delle forze permanentemente schierate a ridosso. Un tentativo di invasione, quindi, se effettuato contemporaneamente, improvvisamente ed in modo massiccio su tutta la linea, potrebbe anche avere possibilità di iniziale successo.
E’ lo scenario peggiore, ma è anche quello che, razionalmente, non dovrebbe né potrebbe manifestarsi. Se Cina, Russia, Stati Uniti, Corea del Sud e Giappone manterranno i nervi saldi di fronte alle provocazioni, non accadrà nulla, come al solito. Kim è giovane, ma non sprovveduto: sa che senza il supporto di Russia e Cina, che hanno da tempo cominciato a dare segni di stanchezza per le sue intemperanze, un “colpo di testa”, dopo aver provocato danni forse anche seri all’odiata Seoul, porterebbe alla fine sua, del regime e, probabilmente, anche allo smembramento del territorio. Il fatto è che, per il momento, le due Coree stanno bene a tutti così come sono, ben divise da quel 38° parallelo di tragica memoria. Per la Cina, nononstante il (non scontato) voto favorevole all’inasprimento delle sanzioni questa situazione è sempre preferibile ad una Corea unificata, nell’orbita di un’alleanza con Giappone e Stati Uniti.
Cosa vuole davvero il giovane Kim? Controlla bene il partito ed i militari, o sono questi a controllare lui? Normalmente, quando un dittatore alza la voce lo fa per tener buoni i militari e farsi seguire dal popolo. Suo padre, per anni, era riuscito a fare entrambe le cose. Kim è giovane, ma non sprovveduto. Ricorda anche gli oltre due milioni di morti per carestia in quattro anni ai tempi del primo sforzo missilistico e nucleare del padre. Il ragionamento di Kim Jon-un potrebbe essere quello che segue: “Entro di prepotenza nel club nucleare, come hanno fatto India, Pakistan e forse l’Iran. Successivamente, faccio tutti felici aderendo alle inevitabili iniziative di moratoria. Accettandole, romperò lo stallo con il mondo esterno, otterrò l’attenuazione delle sanzioni e ripristinerò gli aiuti economici. Potrò così cominciare a distogliere risorse dagli armamenti convenzionali e dedicarle all’economia. I militari non mi contesteranno perché, mantenendo un minimo di nucleare, resteranno in una posizione di forza. Il popolo, cominciando a godere di un po’di benessere, accentuerà il suo consenso. Avrò così salvato il Paese, il regime e me stesso”. Plausibile, vero?