Nel 1849, quando fu dato alle stampe Resistance to Civil Government, Henry David Thoreau aveva da poco compiuto trentadue anni. Era infatti nato il 12 luglio 1817 a Concord, nel Massachusetts. La cittadina, che allora contava duemila anime, era circondata da colline, fiumi, laghi, campi coltivati da contadini infaticabili. In questo “paesaggio favoloso dei suoi sogni infantili”, Thoreau elabora una originale concezione della natura come generatrice di purezza e di verità interiore, negate dalla civiltà – grigia e scialba – del denaro e del consumo. Il “figlio dell’acqua”, che avrà un lettore attento in Marcel Proust, con Walden (1854) celebra la libertà dell’individuo immerso nella solitudine della foresta e perennemente proteso alla ricerca del tempo perduto.
Completato il quadriennio di studi ad Harvard, aveva già elaborato i concetti-chiave che lo renderanno famoso: disprezzo dello spirito mercantile, critica della corsa all’arricchimento, elogio di un’economia basata sulla frugalità. Nel 1837 diventa professore alla scuola pubblica di Concord. Ma vi insegna solo per pochi mesi, non condividendo l’imperante pedagogia dei castighi corporali inflitti agli allievi. Durante la breve esperienza di docente nel suo paese natale, Thoreau incontra Ralph Waldo Emerson (1803-1882), anche lui residente a Concord. Emerson era considerato il padre del “trascendentalismo”, un movimento filosofico fiorito a Boston.
La pubblicazione di Nature, manifesto del movimento, e le innumerevoli conferenze tenute nei Lyceums (simili agli odierni club letterari) gli avevano procurato una vasta popolarità negli ambienti borghesi del New England. Una regione che nella prima metà dell’Ottocento è al centro di una congiuntura culturale straordinaria, la quale ha come suoi protagonisti – per ricordare i più noti – Herman Melville, Walt Withman, Nathaniel Hawthorne, Emily Dickinson. La Nuova Inghilterra diventa così il cuore intellettuale degli Stati Uniti, una nazione il cui passato era ancora quasi un foglio bianco; e che quindi doveva progettare se stessa, i suoi confini, la sua posizione nel mondo.
Frederick J. Turner, nel suo ormai classico studio sul significato della frontiera nella storia americana, ha scritto: “Questa rinascita perenne, questa fluidità della vita americana,questa espansione verso l’Ovest con tutta la sua gamma di infinite possibilità, il suo contatto continuo con la semplicità della società primitiva, alimentano e forniscono le forze che dominano il carattere degli americani. L’avanzata della frontiera ha significato un movimento regolare che si allontanava sempre più dall’influsso dell’Europa, uno sviluppo costante di indipendenza su linee prettamente americane” (La frontiera nella storia americana, il Mulino, 1967).
Emerson esaltava proprio queste virtù dell’intraprendenza e dell’iniziativa individuale, consacrate dalla lotta per la conquista della frontiera. Nei suoi saggi si rispecchiava la speranza in un futuro benevolo che animava i coloni del Nuovo Mondo, dove l’inesauribile riserva di risorse naturali prometteva prosperità e felicità. Come conferenziere e intellettuale militante, celebrava l’individualismo delle selvagge pianure poste a Ovest, dove non vi era società ma soltanto l’uomo singolo di fronte alla natura, e ravvisava nel suo bisogno di autogovernarsi non un pericolo per l’ordine costituito, ma la vera forza degli Usa. Professando l’assoluta sovranità dell’individuo, era un inflessibile fustigatore di ogni forma di schiavitù e di subordinazione. E non si stancava di ammonire i suoi concittadini sui rischi derivanti dal dilagante conformismo di massa, che metteva a repentaglio la costante aspirazione al perfezionamento morale dell’individuo.
Quando Thoreau comincia a frequentare la casa di Emerson, la trova gremita di poeti, abolizionisti, femministe, pastori in rotta con la chiesa unitariana (confessione che negava l’incarnazione e la divinità di Gesù). In un clima che mimava i salotti europei del Settecento, si leggevano e venivano commentati Socrate, Pitagora, Agostino, Cicerone, Shakespeare, Mme de Staël. Rientrato a Concord, nel 1845 si dedica alla realizzazione di un progetto apparentemente insignificante, ma che gli varrà un posto di primo piano nella storia delle idee. Comincia a costruire con le sue mani un capanno vicino allo stagno di Walden, il luogo magico della sua infanzia. Vive in tredici metri quadrati dal 4 luglio 1845, giorno (scelto non casualmente) della Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti, al 6 settembre 1847.
Nel 1846, mentre si recava da un calzolaio che gli aveva riparato una scarpa, viene arrestato dalla polizia per il mancato pagamento di alcune tasse. Era quello che voleva. Infatti, da molto tempo cercava un pretesto per riaffermare in un tribunale che mai gli avrebbero estorto i balzelli con cui venivano finanziate la schiavitù e la guerra contro il Messico. Dopo questo braccio di ferro con il giudice locale, estraneo ai codici di condotta della dottrina trascendentalista, Thoreau comincia a prendere le distanze dagli emersoniani. Il distacco avviene quando alcuni di loro si mettono a vagheggiare una comunità di “persone colte, intelligenti e liberali, alternativa alle pressioni di un sistema sempre più competitivo”. Una comunità nella quale ognuno avrebbe potuto scegliersi un lavoro secondo le proprie inclinazioni e il proprio talento.
Su impulso di George Ripley, i trascendentalisti fondano Fruitland, una sorta di falansterio fourierista. In nome della polis ideale di Platone, rifiutano la proprietà, la carne, gli alcolici, il tabacco, la medicina, il commercio, le arti, lo stato, la famiglia. Concepita come risposta alla presunta fiacchezza mercantile della nascente civiltà industriale, nel marzo 1846 Fruitland viene rasa al suolo da un incendio mentre i suoi ignari abitanti danzavano allegramente nella sala da ballo. Hawthorne non si riprenderà più dal suo coinvolgimento in questa follia.
Thoreau aveva visitato Fruitland. Ma il suo socialismo filantropico gli era subito sembrato stravagante e artificioso. In Slavery in Massachusetts (“La schiavitù nel Massachusetts”,1854), cambia radicalmente registro. Ammette che il suo amore per la natura gli era apparso privo di interesse dopo l’approvazione di una legge assurda, che obbligava gli ufficiali del Nord a restituire gli schiavi fuggiaschi del Sud. Il sostegno alla causa abolizionista diventa cosí il centro del suo impegno politico e intellettuale, che culmina il 30 ottobre 1859.
È il giorno in cui il capitano John Brown, un militare che insieme a una dozzina di commilitoni aveva impugnato le armi per estirpare la piaga dello schiavismo, viene impiccato. Sfidando le autorità, Thoreau declama sulla pubblica piazza una vibrante apologia del suo sacrificio e del suo coraggio. Nel frattempo la sua salute, devastata dalla tubercolosi, peggiora sensibilmente. Trascorrerà il resto della sua vita a riordinare manoscritti e testi incompiuti. Al capezzale, una zia gli chiede se non sia giunto il momento di fare pace con Dio. Flemmatico, risponde: “Che io sappia, non ci ho mai litigato”. Muore il 6 maggio 1862 nella sua Concord, mentre infuriava la guerra di Secessione.