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Perché nella politica Usa spopolano Plutarco e Tucidide

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Uno spettro si aggira per la Casa Bianca, quello dei classici greci e latini. E’ una renaissance. Le Guerre del Peloponneso di Tucidide sono citate a memoria come lesson learned dagli ex generali Jim Mattis e H.R. McMaster. A maggio scorso alcuni staffers del National Security Council hanno ricevuto un documento da Graham Allison, autore di un recente libro sulla Trappola di Tucidide, lo storico che racconta in maniera chirurgica che i più forti esercitano il loro potere e che i deboli possono solo adattarsi.

Ma esiste un libro migliore per i tempi in cui viviamo: le Vite parallele di Plutarco. Harry Truman lo usava come metodo: “Sapeva più di tutti gli autori che avessi mai letto. Mi sono imbattuto in momenti in cui ho cercato di comprendere le intenzioni di qualcuno e non ci riuscivo. Mi bastava sfogliare Plutarco, e 9 volte su 10 trovavo un parallelo”.

Le Vite di Plutarco, che raccontano i personaggi e le carriere degli uomini greci e romani, sono state considerate parte fondamentale nelle letture di chi volesse far parte dell’agone politico. Quando i Founding Fathers si scontrarono nei pamphlet, scrissero sotto pseudonimi come Publio, Cato e Bruto. Alexander Hamilton e Thomas Jefferson, seppur divisi da una grande rivalità, erano uniti dall’ammirazione per lo storico greco: Jefferson si sincerò che l’Università della Virginia ne avesse almeno una copia.

Cosa ha reso Plutarco così popolare? E’ un trattato di virtù civica, confezionata in un modo piacevole da leggere e sfogliare. La parola greca per “vita” usata nel titolo del libro è “biografia”, ma può anche significare “modo di vivere”.

Le Vite di Plutarco descrivono le azioni e il carattere di ciascun soggetto durante tutto il corso della vita e forniscono modelli da emulare per il lettore. Plutarco godeva di un particolare per i dettagli raffinati che egli dice rivelano “i segni dell’anima negli uomini”.

Le Vite sono narrazioni di mondi: combinando e paragonando greci e romani, concludendo ogni presentazione con un breve confronto che ha spinto i lettori a decidere quale dei due era superiore e in quali aspetti. Il punto non è stato quello di dimostrare che i greci erano migliori dei romani o viceversa, ma di rivelare il carattere dei popoli e spingere il lettore a formare giudizi su cosa sia l’autentica virtù.

Plutarco compara Pericle e Fabio, console della Repubblica romana che arrivò circa 200 anni dopo. È facile parlarne passivamente. Chiedendo ai lettori quali dei due sia migliore, costringe a considerare ciò che esattamente significa “meglio” e come si applica a casi particolari. Plutarco fa “votare” i propri elettori.

Plutarco ha vissuto sotto la dominazione romana della Grecia. Le sue Vite avevano almeno in parte l’obiettivo di ricordare ai contemporanei quello che la politica sembrava prima che il potere romano centralizzato eclissasse le città. Se un uomo agisce per conto della polis, è virtuoso; al contrario, la sua “attenzione al dovere e allo zelo sono più grandi quando applicati alle piccole cose”.

Le regole dell’età del caos impongono anche la rilettura di Tucidide. Nella misura in cui esistono tali regole, Tucidide è sicuramente da inserire nella reading list. Ma Plutarco suggerisce che i cittadini e i politici hanno bisogno di un diverso tipo di istruzione. L’obiettivo è insegnare loro a praticare il buon giudizio e affinare la loro capacità di discernere quando una proposizione è valida e quando non lo è.

Plutarco ha mostrato ai cittadini come ammirare e responsabilizzare coloro che sono al potere, per non parlare di come valutare i candidati per tali posizioni. Un manuale di leadership dall’antichità.


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