Una delle storie più ripetute nei primi anni del Pontificato di Francesco era che il Papa parlasse poco o nulla d’Europa. Di più, che la snobbasse, preferendo viaggiare stando al largo dal Vecchio continente e, quando deciso a visitarlo, lo facesse dalle periferie estreme, senza mai mettere piede nel suo cuore. Poi ci sono stati i due discorsi a Strasburgo, davanti al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa. Quindi, il lungo intervento ricevendo in Vaticano il prestigioso Premio Carlo Magno. E poi riferimenti ai problemi del continente nelle varie interviste concesse, anche a giornali stranieri.
IL DISCORSO SUI MIGRANTI
Venerdì il Papa è tornato a parlare d’Europa e ancora una volta l’attenzione è andata sulla crisi dei migranti, il problema epocale che tante volte ha occupato pensieri e parole del vescovo di Roma. L’occasione è stata data dall’udienza concessa nella Sala Clementina ai direttori nazionali della pastorale per i migranti e ai partecipanti all’incontro promosso dal Consiglio delle conferenze episcopali d’Europa, l’organismo che ha il cardinale Angelo Bagnasco come presidente.
ACCOGLIERE CON PRUDENZA
Punto primo ribadito da Bergoglio: “Di fronte ai flussi migratori massicci, complessi e variegati, che hanno messo in crisi le politiche migratorie fin qui adottate e gli strumenti di protezione sanciti da convenzioni internazionali, la Chiesa intende rimanere fedele alla sua missione: quella di amare Gesù Cristo, adorarlo e amarlo, particolarmente nei più poveri e abbandonati” e “tra di essi rientrano certamente i migranti e i rifugiati”. Francesco chiede una conversione alle chiese locali, perché “l’amore materno della chiesa verso questi nostri fratelli e sorelle chiede di manifestarsi concretamente in tutte le fasi dell’esperienza migratoria, dalla partenza al viaggio, dall’arrivo al ritorno, cosicché tutte le realtà ecclesiali locali situate lungo il tragitto siano protagoniste dell’unica missione, ciascuna secondo le proprie possibilità”.
LE PAROLE DETTE A LUND
Proprio queste ultime parole rimarcano un concetto che il Papa aveva già espresso un anno fa di ritorno dalla visita lampo a Lund, in Svezia, e di recente ribadita anche al termine del viaggio in Colombia: non si parla di accoglienza indiscriminata, porte spalancate senza filtri o controlli. Bensì, appunto, “secondo le proprie possibilità”. Proprio tornando da Lund, Bergoglio disse: “Credo che in teoria non si può chiudere il cuore a un rifugiato, ma ci vuole anche la prudenza dei governanti: devono essere molto aperti a riceverli, ma anche fare il calcolo di come poterli sistemare, perché un rifugiato non lo si deve solo ricevere, ma lo si deve integrare. E se un Paese ha una capacità di venti, diciamo così, di integrazione, faccia fino a questo. Un altro di più, faccia di più”.
IL PERICOLO DELLA XENOFOBIA
E però, se da un lato la prudenza è comprensibile, quel che va stigmatizzato sono “i segni di intolleranza, discriminazione e xenofobia che si riscontrano in diverse regioni d’Europa. Esse sono spesso motivate dalla diffidenza e dal timore verso l’altro, il diverso, lo straniero”. L’aspetto più grave è “la triste constatazione che le nostre comunità cattoliche in Europa non sono esenti da queste reazioni di difesa e rigetto, giustificate da un non meglio specificato dovere morale di conservare l’identità culturale e religiosa originaria”. Il Papa ha quindi ricordato che “nella storia della chiesa non sono mancate tentazioni di esclusivismo e arroccamento culturale”, poi sempre superate.
“HO PERCEPITO UN PROFONDO DISAGIO”
Francesco ha chiara la situazione quando dice che “ho percepito un profondo disagio di fronte all’arrivo massiccio di migranti e rifugiati”. Disagio che “va riconosciuto e compreso alla luce di un momento storico segnato dalla crisi economica, che ha lasciato ferite profonde” e che “è stato aggravato dalla portata e dalla composizione dei flussi migratori, da una sostanziale impreparazione delle società ospitanti e da politiche nazionali e comunitarie spesso inadeguate”.
“I LIMITI DELL’UNIFICAZIONE EUROPEA”
C’è però dell’altro nell’analisi del Pontefice. E’ un problema di come “sta” il continente: un disagio, infatti, “indicativo dei limiti dei processi di unificazione europea, degli ostacoli con cui si deve confrontare l’applicazione concreta della universalità dei diritti umani, dei muri contro cui s’infrange l’umanesimo integrale che costituisce uno dei frutti più belli della civiltà europea”. Il Papa ha ricordato che “la risposta pastorale alle sfide migratorie contemporanee” si deve “articolare attorno a quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere, integrare”, fino alla promozione di “percorsi di cittadinanza attiva”.