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Quali sono le vere priorità per la Chiesa?

chiesa, Papa Francesco con un gruppo di immigrati della diocesi di Siena

È importante capire dove si giunge. Sbagliarsi può causare problemi molto seri. Ecco, io credo che siamo arrivati a un nuovo bivio, che potrebbe produrre qualcosa di nuovo. Questo qualcosa origina all’ombra del tradizionalismo lefebvrista, che ha rotto con la Chiesa cattolica per il rifiuto delle novità introdotte dal Concilio Vaticano II, in particolare la dichiarazione Nostra Aetate e la riforma liturgica.

Ora però questa galassia, o parti di essa, cioè non necessariamente tutti i membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X né solo essi però, approfondisce il solco. Lo evidenzia la polemica sulla profanazione del duomo di Bologna a causa del pranzo lì offerto ai poveri in occasione della visita di papa Francesco. E si rilancia, inventando che per l’occasione sarebbero stati portati bagni chimici all’interno di San Petronio. Al di là dell’invenzione, che tale è e resta, quel pranzo papa Francesco lo ha fatto capire anche con la citazione di poche parole care al cardinale Lercaro: chi condivide il pane celeste non può non condividere anche quello terrestre.

Qui ovviamente c’è una tradizione che mai nessuno ha messo in discussione. In queste ore si sono ricordati pregressi bolognesi risalenti ai tempi di Pio XII, e pochi romani non sanno del pranzo di Natale per i poveri servito nella Basilica di Santa Maria in Trastevere dalla Comunità di Sant’Egidio dal 1982. Ci sono andati tantissimi sindaci della Capitale, ad esempio, per mostrare la loro, più o meno convinta, adesione. Altri potranno fare altri esempi. Chi aveva parlato di “profanazione”? Un sito del mondo tradizionalista. Lì, infatti, è stata pubblicata, nel 2012, la lettera di un “fedele” indignato con Sant’Egidio proprio per il pranzo in Basilica, ma senza specificarne il nome però. Quella lettera, dopo aver parlato di sacrilegio, si conclude così: “Immagino che per rispetto delle altrui fedi di alcuni dei poveri presenti, non si porga il ringraziamento al padrone di casa. Non mi stupirei, dacché è lo stesso “spirito di Assisi” quello che, nel 1986, permise di collocare sul tabernacolo della chiesa di San Pietro un idoletto di Budda (così nel testo!) quale ecumenistico omaggio all’altrui religione vietando invece – vero Santità Giovanni Paolo II? – l’ingresso della statua della Madonna di Fatima. È questo uno dei tanti effetti dell’apertura della Chiesa allo “spirito dei tempi?”. Dunque questo “sentimento” c’è sempre stato, ma ora non si ricorre più alla firma di un anonimo fedele di Santa Marinella…

E allora dobbiamo chiederci: come sarebbe il cristianesimo senza dialogo, senza amicizia, senza carità? Come sarebbe il cristianesimo senza Beatitudini? Davanti alle citate sfide dei tempi la sua esigenza sarebbe solo quella di imporre la legge, il rispetto della sua lettera, come fa un giudice che si colloca al di fuori e al di sopra della storia? Mi sembra plausibile.

Insomma, si cerca di coinvolgere quel mondo che si ritiene “cristiano” e che si sente in sintonia con loro, che ha nel formalismo una sua radice, nell’ostilità per i poveri, magari sotto le mentite spoglie di ostilità verso gli immigrati. Forse però la scaletta è diversa: il problema è Amoris Laetitia, la comunione ai divorziati risposati, oppure è la Chiesa povera e per i poveri il nodo di fondo? La Chiesa povera, e per i poveri, è una Chiesa intrinsecamente profetica, che li va a cercare, che va a cospargere d’olio le loro ferite. Una Chiesa che guarda a loro come carne di Cristo può non guardare a chi ha fallito, lo ha capito, e cerca il suo aiuto per rialzarsi? Quella dei poveri è una Chiesa necessariamente in dialogo con l’altro, caritatevole e misericordiosa, che 50 anni dopo il Concilio Vaticano II avverte il bisogno di riprendere quel cammino. E proprio la teologia dei poveri diviene il suo terreno di crescita, di sviluppo.

La teologia dei poveri, di tutti i poveri, tutti “carne di Cristo”, è la teologia di una Chiesa non più “europea”, non più “occidentale”, ma globale. Una Chiesa quindi anche del Sud, che parla e si sente anche del Sud, e che quindi si sente la Chiesa anche delle vittime degli squilibri taciuti, delle carestie dimenticate, come dei poveri nostrani, quelli precarizzati, o lasciati nelle periferie scartate. La teologia dei poveri è dunque quella teologia che può fare ecologia umana, recuperando le vite da scarto.

Davanti alla forza evangelica della predicazione e del magistero di papa Francesco gli avversari del papa non possono limitarsi alla morale sessuale, ai canoni, sentono di dire tutto il dissenso. Ora. Forse perché ritengono che la teologia dei poveri stia divenendo una realtà.



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