Il cosiddetto “sequester” preoccupa innanzitutto perché settori come difesa e sanità – particolarmente dipendenti da fondi pubblici – subiranno sforbiciate significative creando le condizioni per un incremento della disoccupazione e un rallentamento della ripresa economica. Ma i mercati finanziari temono anche che i legislatori tentino di evitare il “sequester” senza però un piano reale di riduzione del deficit. Gli investitori sostengono che potrebbe portare le agenzie di rating a tagliare il loro giudizio sugli Stati Uniti.
Il copione visto il 6 agosto del 2011, con S&P protagonista del primo downgrade in assoluto degli Stati Uniti, rischia così di andare nuovamente in scena. Sia Repubblicani sia Democratici hanno messo sul tavolo dei negoziati proposte varie ma senza compiere reali passi avanti verso un accordo definitivo.
Gli ostacoli politici sono gli stessi visti tra la fine del 2012 e l’inizio dell’anno in corso in tema di Fiscal Cliff, il precipizio fiscale fatto di tagli alla spesa e aumento dell’imposizione fiscale su cui è stato poi trovato un accordo temporaneo in extremis: i Repubblicani non vogliono alzare le aliquote fiscali per fare confluire denaro alle casse dello Stato mentre i Democratici sono riluttanti alla sola idea di cambiamenti drammatici a programmi federali che aiutano i meno abbienti allo scopo di risparmiare fondi pubblici.