Ci vorrebbe un commento del grande Jorge Valdano per spiegare la nostra involuzione culturale che è dello spirito calcistico prima che tecnico-tattica, invece che rassegnarci alle discussioni degli esperti da divano.
Valdano il ‘filosofo’ ci ha spiegato qual è l’estetica dell’Italia: l’Italia è le sue idee originali, l’Italia è la sua capacità di seduzione. Ma l’Italia è anche le sue meschinità calcistiche. Valdano parlava di calcio e dipingeva un’Italia generosa che, come se si trattasse di rispettare l’ultima volontà, cedeva il pallone all’avversario prima di assassinarlo.
Valdano ci ha sempre considerato, calcisticamente, dei ‘traditori’, gente astuta, di raffinata strategia o d’intelligenza sublime. Ma sempre dei traditori. Perché nonostante squadre zeppe di campioni e talenti abbiamo sempre preferito seguire quella particolare forma di cinismo che è il gioco all’italiana. Che non è da confondere con il banale difensivismo, perché è un gioco che fa razza a sé. E di cui siamo orgogliosi.
Allora tanto vale scomodare Marco Aurelio, che non è il centravanti del Corinthias ma un italo-spagnolo che conosceva bene la natura umana: “Nessuno può impedirti di agire e di esprimerti sempre in conformità alla natura di cui sei parte”. Eccolo allora un calcio che rinuncia al talento quando c’è l’ha, distillato in generazioni di fenomeni ma che lascia in panchina… un calcio molte volte da noi disprezzato sebbene rispettato da tedeschi, francesi, inglesi, brasiliani… perché appena pensavano di averlo domato o impaurito, con una brutale e veloce azione decretava la loro sconfitta…
Quando avevamo Totti, Del Piero, Inzaghi, Vieri, Toni, Camoranesi, Pirlo e altri eravamo guardinghi, cinici, spietati e assassini. Oppure, semplicemente avevamo quel talento che, come diceva Valdano, faceva razza a sé. Oggi siamo semplicemente senza talento… e non vogliamo riconoscerlo.
È che quando sento l’odore dell’erba mi torna addosso l’infanzia!