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Platform workers, che cosa prevede il disegno di legge firmato da Ichino

platform workers

Disegno di legge che presentato alla Presidenza del Senato il 5 ottobre 2017 – In argomento v. anche la mia relazione al congresso dell’AGI-Associazione Giuslavoristi Italiani del 15 settembre 2017 su Le conseguenze dell’evoluzione tecnologica sul diritto del lavoroIl testo del disegno di legge non sarà definitivo, e non verrà pubblicato sul sito del Senato, fino a quando non ne avrò restituito le bozze corrette, cosa che avverrà soltanto ai primi di novembre: tutte le proposte di correzione e/o integrazione (come già quelle contenute nel commento di Emanuele Dagnino sul Bollettino Adapt, delle quali lo ringrazio vivamente, e che abbiamo potuto accogliere già prima della presentazione) verranno prese in attenta considerazione dai presentatori del disegno di legge; in ogni caso tutte le modifiche del testo verranno evidenziate in colore azzurro.

DISEGNO DI LEGGE

presentato alla Presidenza del Senato il 5 ottobre 2017
dai senatori ICHINO, BENCINI, BERGER,
BIGNAMI, BONDI, BUEMI, COLLINA,
D’ADDA, DALLA ZUANNA, DEL BARBA,
FAVERO, FUCKSIA, GIANNINI, IDEM, LANZILLOTTA,
LEPRI, MARAN, Luigi MARINO, MERLONI, PALERMO,
PUPPATO, REPETTI, Maurizio ROMANI, Lucio ROMANO,
SANGALLI, SANTINI, SUSTA

Disposizioni in materia di lavoro autonomo mediante piattaforma digitale

RELAZIONE

Onorevoli Colleghi – Uno degli effetti più vistosi dell’avvento delle nuove tecnologie – in particolare dell’informatica e della telematica – nel campo del lavoro è costituito dalla riduzione, in alcuni casi fin quasi all’azzeramento, dei costi di transazione derivanti dalla difficoltà che le persone incontrano per trovarsi fra loro e comunicare a distanza. Uno strumento tipico di questo abbattimento dei costi di transazione è costituito dalla cosiddetta labour platform: un luogo telematico raggiungibile mediante la rete, dove ciascun prestatore può essere in qualsiasi momento contattato da un soggetto interessato al servizio offerto, ingaggiato e anche retribuito, sulla base di una negoziazione individuale oppure sulla base di una tariffa standard prestabilita dal gestore della piattaforma (a proposito di questo modello di disintermediazione, sperimentato su scala mondiale per la commercializzazione di un servizio di autotrasporto dall’impresa che opera con il marchio Uber, si parla ora di uberization).

Come si configura il lavoro autonomo mediante piattaforma
La piattaforma nasce per consentire l’incontro diretto tra prestatore e fruitore del servizio: una disintermediazione – o, come suggerito da qualche espert, “reintermediazione” senza costo per gli utenti – che, come vedremo meglio fra breve, produce l’effetto immediato di un miglioramento del servizio e un abbassamento del costo, con beneficio per il fruitore del servizio stesso. Ma può anche consentire a un’impresa che operi nel segmento del mercato interessato (per esempio: assistenza infermieristica, o di altro genere; oppure interventi a domicilio per manutenzione elettrica, idraulica, antennistica, informatica, ecc.) di reperire in qualsiasi momento le persone disponibili per svolgerlo nel luogo e con le modalità di volta in volta necessarie. Stesso discorso per il caso in cui sia l’impresa a utilizzare direttamente il servizio nell’ambito di un proprio processo produttivo. Si pensi al caso di un’impresa che fornisca il servizio di consegna di pasti a domicilio just in time e che attraverso la piattaforma possa disporre di una platea di fattorini muniti di motorino o bicicletta, pronti a rispondere alle chiamate: essa non è più costretta ad assumerne uno o più alle proprie dipendenze per poter contare sulla prestazione necessaria per la fornitura del servizio.

Nel campo dell’organizzazione del trasporto di persone, o di presa e consegna di oggetti in area urbana, le piattaforme del tipo descritto – dove è consentito loro di operare in funzione di questo servizio – consentono oggi una riduzione ulteriore dei costi di transazione rispetto a quanto già il collegamento via radio con la centrale aveva incominciato a consentire negli anni ’80, quando nacque la figura del pony express. Allora si pose per la prima volta la questione della posizione sostanziale di dipendenza economica in cui si trovavano le persone impegnate in quel lavoro, che pure erano lasciate contrattualmente libere di rispondere o no alla chiamata via radio e quindi vedevano la propria prestazione giuridicamente qualificata come autonoma; oggi la stessa questione si ripropone in un numero di casi molto maggiore e per una gamma di servizi molto più ampia (basti pensare, oltre che ai servizi offerti dalla già citata Uber, a quelli offerti da imprese come Amazon, Foodora, Deliveroo, e numerose altre).

Si diffonde anche la combinazione di più mestieri svolti mediante piattaforma digitale dalla stessa persona. Nelle piattaforme questi lavoratori per così dire anfibi – per esempio, plumber/driver; oppure electrician/babysitter – sono indicati come slashers (da slash = barra).

Le dimensioni del fenomeno
Il numero delle persone che lavorano permanentemente per mezzo di una labour platform è oggetto di stime che vanno dai 600.000 degli U.S.A. indicati da S.D. Harris e A.B. Krueger (2015) alle decine di milioni nel mondo intero indicate da R. Smith, S. Leberstein (2015): comunque una frazione ancora molto modesta rispetto alle forze-lavoro dei Paesi dotati di un tessuto produttivo moderno. Ma quel numero è in rapido aumento; si può dunque ipotizzare che in un futuro non molto lontano l’erosione dell’area del lavoro qualificabile come subordinato secondo i criteri tradizionali, e pertanto protette da un sistema di coperture lato e stricto sensu assicurative, incominci a costituire un problema sociale di importanza non secondaria, imponendo un aggiustamento del sistema di protezione e in particolare della definizione del suo campo di applicazione.

La nascita di un nuovo tertium genus tra autonomia e subordinazione
In riferimento alle nuove figure dei lavoratori della gig economy statunitense S.D. Harris e A.B. Krueger (2015) propongono il riconoscimento da parte dell’ordinamento di una figura intermedia tra quella dell’employee tradizionale e quella dei self-employed, che essi propongono di indicare col termine independent workers: una figura che deve, secondo i due economisti, essere esentata dalla disciplina antitrust vedendosi riconosciuti il diritto di coalizione e l’autonomia collettiva al livello aziendale, là dove ci sia una pluralità di fornitori abituali di uno stesso servizio a uno stesso committente. Questa categoria dovrebbe inoltre, secondo i due economisti, essere aiutata dall’ordinamento a dotarsi almeno delle protezioni previdenziali basilari: protezioni, queste, che non si giustificano, come quelle proprie del diritto del lavoro tradizionale, principalmente come correzioni di distorsioni proprie di un mercato monopsonistico, bensì come sostegno dell’ordinamento a soggetti oggettivamente svantaggiati. Ciò che S.D. Harris e A.B. Krueger propongono ha dunque poco a che vedere con le elaborazioni della dottrina giuslavoristica europea in tema di parasubordinazione: la figura che essi individuano non si caratterizza per la posizione di dipendenza sostanziale da un committente in posizione dominante. La debolezza dell’independent worker e il conseguente suo bisogno di un intervento protettivo nascono essenzialmente dall’abbondanza dell’offerta di lavoro concorrente e dalla difficoltà del soggetto debole di differenziare per qualità la propria offerta. Ed è essenzialmente su questo terreno che esso va sostenuto, aiutato a rafforzarsi.

Di tempreneurs, cioè di imprenditori di sé stessi che si offrono per lavori a tempo parla la World Employment Confederation (2016). In Francia la legge 1° agosto 2014 n. 176 riferisce un nuovo ordinamento protettivo – al quale in parte questo disegno di legge si ispira – agli entrepreneurs salariés.

Quanto al Regno Unito, recentemente una sentenza della Royal Court of Justice (Pimlico vs. Smith, 10 febbraio 2017) e un’altra di un Employment Tribunal (Uber vs. Aslam, Farrar et al., 28 ottobre 2016) hanno qualificato come worker a norma dell’Employment Rights Act 1996, ma non come employee, un idraulico operante con la catena Pimlico e alcuni autisti operanti con Uber: oltre Manica sembra dunque prendere piede la classificazione di questo tipo di organizzazione del lavoro in un tertium genus, distinto sia dal lavoro subordinato tradizionale sia dal lavoro autonomo tradizionale.

La questione della protezione minima e la nascita delle c.d. umbrella companies
La labour platform consente dunque di trasformare il prestatore, che fino a ieri era un dipendente dell’impresa fornitrice del servizio, in lavoratore autonomo. Un primo problema è che in questo modo essa lo priva della copertura assicurativa per malattia, maternità, invalidità e vecchiaia; ma lo priva anche di una “protezione” poco considerata da studiosi e osservatori e tuttavia assai rilevante, di cui nel nostro ordinamento solo il lavoratore subordinato gode: cioè l’esenzione pressoché totale da un insieme di numerosi e complessi adempimenti burocratici, dei quali viene fatto carico interamente all’impresa datrice di lavoro.

Per risolvere questo problema in Europa sono nate delle imprese – del tipo della Smart, operante in nove Paesi diversi  – che offrono un rapporto di lavoro, anche in forma subordinata, a lavoratori sostanzialmente autonomi dotati di un loro portafoglio-committenti o comunque di una loro capacità di entrare direttamente in contatto con essi, per lo più mediante una piattaforma digitale, ma interessati a una copertura previdenziale e a essere esentati dalle complicazioni amministrative per l’incasso dei compensi.

Queste imprese – che per la funzione che svolgono vengono comunemente indicate come umbrella companies – svolgono però anche una funzione mutualistica, con la costituzione di fondi che consentono di dare continuità ai flussi di reddito ammortizzando i ritardi di pagamento e scontando le inadempienze da parte dei committenti. Talvolta esse svolgono anche una funzione di rappresentanza collettiva per i propri “dipendenti”: in Belgio, per esempio, la Smart ha negoziato un accordo con Deliveroo, che prevede per i fattorini ciclisti un compenso minimo garantito (una sorta di indennità di disponibilità) indipendente dal numero delle consegne compiute, un contributo per l’uso della bicicletta e dello smartphone, e un contributo eventuale per il caso di riparazione di un guasto della bicicletta, tutti versati da Deliveroo a Smart, che li utilizza per il pagamento di retribuzione e contributi per lo più nell’ambito di un contratto di lavoro intermittente (cosa che oggi in Italia non è consentita, stanti gli spazi strettissimi entro i quali questa forma di contratto è utilizzabile). Al fine dell’eliminazione totale degli attriti burocratici, lo stesso accordo belga prevede – ed è disposizione già pienamente attuata – che lo stesso codice attribuito a ciascun ciclista fattorino da Deliveroo sia utilizzato per l’apertura della sua posizione presso la Smart: col risultato che le due piattaforme sono in grado di dialogare direttamente tra loro, scambiandosi i dati necessari per una gestione che attualmente coinvolge circa duemila giovani.

La simulazione del contratto di lavoro subordinato da parte delle umbrella companies
Nel caso delle organizzazioni di cui si è detto, dunque, è evidente che lo strumento del contratto di lavoro subordinato – oltralpe si ricorre per lo più al sotto-tipo del job on call, o lavoro intermittente – è utilizzato principalmente al fine di fornire alla persona interessata un insieme di coperture assicurative, senza che il “datore di lavoro” abbia alcun interesse diretto né alla prestazione lavorativa né al risparmio di costi di transazione. Al contrario, qui è la stessa persona che lavora, e non il datore di lavoro, a perseguire, per mezzo del contratto di lavoro subordinato, la riduzione di costi di transazione che altrimenti su di lei graverebbero per la riscossione del compenso dai soggetti utilizzatori della prestazione, mentre la società datrice di lavoro si è costituita apposta per accollarseli. Il contratto di lavoro che viene utilizzato per questo scopo costituisce è dunque simulato: in realtà l’apparente datore di lavoro non diventa affatto creditore della prestazione lavorativa; e sarebbe simulato anche l’ipotetico contratto di somministrazione di lavoro che l’umbrella company stipulasse con l’utilizzatore: l’u.c. non viene retribuita per questo servizio e il suo compenso non è pagato dall’utilizzatore, bensì dal lavoratore, che con il finto contratto di lavoro cerca in realtà un servizio di gestione del flusso delle proprie retribuzioni, la possibilità di avere una copertura previdenziale per invalidità, vecchiaia e infortuni sul lavoro, nonché il più delle volte anche l’accesso a un fondo mutualistico che garantisce una certa continuità del reddito in caso di fluttuazioni del lavoro e della sua retribuzione, a qualsiasi causa dovute.

Quanto alle piattaforme digitali per l’incontro fra domanda e offerta, esse alterano il quadro tradizionale per un altro aspetto di importanza cruciale: sono molte le organizzazioni produttive nelle quali, quanto più si riducono i costi di transazione necessari per reperire il lavoro necessario e adattarlo quotidie et singulis momentis alle esigenze dell’impresa, tanto più si riduce l’interesse dell’imprenditore a sostituire il rapporto di mercato con un rapporto gerarchico, cioè a incorporare il prestatore nell’organizzazione aziendale ingaggiandolo come lavoratore subordinato.

Gli effetti destrutturanti delle piattaforme digitali sul sistema tradizionale delle protezioni
Si osservi che, in tutti i casi in cui il contratto di lavoro non ha il carattere strutturale di una durata apprezzabile, non è pensabile l’imposizione, come contenuto inderogabile del contratto stesso, di un contenuto assicurativo.

Se dunque la quota di forza-lavoro che si avvale delle “piattaforme” incomincerà a essere misurata con percentuali a due cifre, questo fenomeno metterà in discussione, assai più di quanto sia stata messa in discussione finora, la scelta della subordinazione come fattispecie fondamentale e pressoché esclusiva di riferimento del sistema protettivo. L’area del lavoro subordinato coinciderà sempre di meno con l’area nella quale la protezione dell’ordinamento è necessaria, non solo perché la subordinazione è compatibile – ormai questo si osserva da tempo, soprattutto nell’area dirigenziale – con posizioni di notevole forza contrattuale del prestatore; ma soprattutto perché, viceversa, sarà sempre più ampia l’area dei lavoratori qualificabili come “autonomi”, ma svolgenti funzioni tradizionalmente proprie dell’area della subordinazione, che solo le nuove tecnologie consentono di sottrarre a quell’area.

Dei soggetti sottratti in questo modo all’area della subordinazione, la metà professionalmente più forte avrà pochi problemi: anzi, il regime di concorrenza aperta con gli altri consentirà loro di porre in evidenza la propria maggiore produttività; ma la metà più debole non sarà più protetta dallo standard collettivo di trattamento che fin qui bene o male ha funzionato nel settore del lavoro subordinato.

La differenza tra il nuovo tertium genus e il vecchio, costituito dal lavoro parasubordinato
La discussione che si era aperta alla fine degli anni ’70 (G. Santoro Passarelli, 1979) circa la necessità di ampliare la fattispecie di riferimento del diritto del lavoro si era incentrata soprattutto sulla possibilità di ricomprendervi il lavoro svolto in condizione di sostanziale soggezione nei confronti del committente, ancorché in assenza di un assoggettamento pieno a eterodirezione: il “lavoro parasubordinato”. Da allora l’attenzione dei giuslavoristi, nell’area delle collaborazioni continuative e coordinate ma senza i tratti propri della subordinazione, si era concentrata sulla possibile attribuzione di un rilievo giuridico al concetto di “dipendenza economica”; e si è sempre registrato un ampio consenso sul punto che dovesse essere considerato come elemento essenziale di questo concetto il carattere della apprezzabile durata nel tempo del rapporto tra creditore e prestatore, senza la quale appariva inconcepibile una qualsiasi posizione di “dipendenza” del secondo dal primo. Ora, invece, gli sviluppi tecnologici di cui si è dato sinteticamente conto nella prima parte di questa relazione inducono a mettere a fuoco anche la necessità di protezione di persone che, mediante le piattaforme digitali, entrano direttamente in contatto con gli utilizzatori dei loro servizi: esse non sono, dunque, titolari di un rapporto durevole nel tempo con un unico creditore delle loro prestazioni collocato in posizione dominante, ma vedono la propria attività lavorativa spezzettata in una miriade di rapporti con singoli committenti.

Qui la ragion d’essere dell’intervento protettivo non è evidentemente più la “dipendenza economica”: questi lavoratori traggono il loro reddito dal rapporto con una pluralità di committenti, operando direttamente in un mercato che è concorrenziale tanto sul lato dell’offerta quanto su quello della domanda. La loro debolezza, là dove di questo si tratta, non è la conseguenza di una distorsione del mercato, di una sua disfunzione, bensì la conseguenza diretta di un difetto di produttività del loro lavoro. Il mercato in cui operano li sottopone a un confronto permanente con quelli che offrono i loro stessi servizi, dunque proprio a quello “stress da esame” che nell’area del lavoro subordinato tradizionale le forme di autotutela collettiva tendono tipicamente a limitare. E il fatto che l’attività lavorativa sia spezzettata in una miriade di rapporti di breve o brevissima durata, quando non a esecuzione istantanea, rende strutturalmente impossibile collocare all’interno dei rapporti stessi alcune protezioni inderogabili di rilievo costituzionale come la limitazione dell’estensione temporale della prestazione nell’arco della giornata, della settimana o dell’anno, il diritto al riposo quotidiano, settimanale e annuale, la malattia retribuita. Il traduttore, il correttore di bozze, l’elettricista, l’antennista, il fattorino, l’infermiere, quando si fanno “imprenditori di se stessi” offrendo il proprio lavoro direttamente agli utilizzatori attraverso la piattaforma, continuano a fare lo stesso lavoro che fino a ieri facevano per un unico imprenditore capace di valorizzarlo nel mercato, ma perdono le coperture assicurative che solo il rapporto con quell’unico imprenditore può offrire loro in modo immediato.

L’intervento protettivo necessario e le nuove tecniche utilizzabili
La disintermediazione consentita dalle piattaforme digitali, dunque, reca un beneficio netto e indiscutibile per l’utente/consumatore, consentendogli un’informazione precisa sulla qualità del servizio e abbassandone il costo; l’effetto della disintermediazione per il lavoratore, invece, ha due facce. Essa libera il lavoratore appartenente a uno dei molti settori di servizi alla persona o all’impresa dalla necessità di inserirsi in un’organizzazione imprenditoriale capace di organizzare e valorizzare la sua attività; ma, lungi dal liberarlo, lo assoggetta ancor più di prima al confronto con gli altri lavoratori che svolgono la stessa attività, alla conoscibilità della qualità del lavoro svolto fino a quel momento, quindi a una sua valutazione potenzialmente sempre più analitica e penetrante da parte dei potenziali utilizzatori. La disintermediazione mediante piattaforma digitale lo premia, così, in modo più preciso per i suoi meriti; ma anche lo incatena ai suoi difetti, quali che essi siano, rendendoli facilmente conoscibili e facendogliene pagare per intero il costo in modo quasi immediato.

Quando di questo si tratta, l’intervento protettivo, per essere efficace e non generare a sua volta distorsioni, non può più concretarsi in una disciplina inderogabile del singolo rapporto di lavoro di breve o brevissima durata, salva l’istituzione di un minimum wage universale, purché determinato con accurata prudenza in modo che il suo effetto si limiti alla correzione della distorsione monopsonistica (operante anche nei mercati del lavoro maturi) e non produca disoccupazione.

Nell’ottica della necessaria protezione essenziale di questa forma di lavoro, occorre innanzitutto eliminare – là dove ce ne sono, come oggi in Italia – gli ostacoli ordinamentali che impediscono la stipulazione del contratto di lavoro continuativo con le umbrella companies: nei Paesi dove questo contratto è invece utilizzato correntemente, esso viene per lo più stipulato, come si è visto, nella forma (simulata) del lavoro intermittente, che consente di dimensionare e cadenzare la retribuzione in relazione all’entità e ai tempi del lavoro effettivamente svolto. Appare decisamente più opportuno mettere a disposizione delle parti un tipo nuovo di contratto, del quale sia esplicitata la sostanziale funzione mutualistica e assicurativa (in senso stretto e in senso lato); un contratto, dunque, che di quello di lavoro subordinato riprenda soltanto la forma di pagamento della retribuzione da parte dell’u.c., l’attivazione delle assicurazioni obbligatorie e la relativa contribuzione previdenziale.

Là dove, invece, la persona che lavora per mezzo della piattaforma digitale non si avvalga di una umbrella company, la copertura previdenziale per invalidità, vecchiaia e infortuni sul lavoro può essere assicurata mediante un meccanismo analogo, se non identico, a quello istituito dall’articolo 54-bis della legge n. 96/2017, di conversione del d.lgs. n. 50/2017, per il lavoro occasionale: cioè mediante una sorta di voucher virtuale che incorpori la contribuzione previdenziale ed esenti dalla ritenuta fiscale (salvo prevedere la necessità di menzione nella denuncia dei redditi annuale delle retribuzioni percepite in questo modo, quando esse superino una determinata soglia). Si consente così il controllo del rispetto di uno standard retributivo minimo universale, e si assicura la piena trasparenza del rapporto. In questo caso, ovviamente, non deve applicarsi alcuna delle limitazioni della platea degli utilizzatori dei servizi previste per il lavoro occasionale al servizio delle famiglie dal menzionato articolo 54-bis della legge n. 96/2017, né alcun limite massimo di compensi erogabili dal singolo utilizzatore, o di compensi percepibili dai singoli lavoratori.

L’intervento protettivo più rilevante – che non richiede nuovi interventi legislativi, ma dovrà essere implementato in modo efficace, mediante gli incentivi giusti e con meccanismi di controllo puntuale dei risultati – è comunque quello che consiste nel mettere a disposizione degli interessati servizi personalizzati capaci di individuare i problemi specifici di ciascun appartenente alla “metà inferiore della categoria”, di incrementarne la professionalità e di aumentarne la produttività del lavoro, ponendolo in condizione di trarre dal lavoro stesso un reddito complessivamente più alto.

Non deve, invece, essere riaperta la porta alla trasformazione di questo nuovo mercato del lavoro in senso corporativo, con l’istituzione di barriere all’accesso e di “tariffe professionali minime” diverse dallo standard retributivo minimo universale di cui si è appena detto. Le quali tariffe di mestiere – non essendo giustificate da alcuna disfunzione del mercato, cioè non correggendo alcuna distorsione di natura monopsonistica o derivante da asimmetrie informative, che la stessa “piattaforma” si incarica di correggere – avrebbero il solo effetto di dividere i lavoratori del settore interessato tra insider e outsider, proteggendo l’interesse dei primi contro quello dei secondi.

Contenuto del disegno di legge
Quanto esposto nelle pagine che precedono è necessario per dar conto compiutamente degli intendimenti che ispirano la presente proposta di intervento legislativo e le tecniche protettive cui essa fa ricorso, al fine di evitare che l’abbraccio del vecchio ordinamento protettivo soffochi sul nascere le nuove forme di organizzazione del lavoro sopra descritte.

Il disegno di legge si propone, con l’articolo 1, di integrare il testo della legge 22 maggio 2017 n. 81, con tre nuovi articoli che appare logico collocare al termine della prima parte della legge, dedicata al lavoro autonomo.

Il nuovo articolo 17-bis della legge n. 81/2017 contiene la definizione della figura del “lavoro mediante piattaforme digitali”: quello che nella lingua franca delle scienze sociali viene indicato come platform work. La definizione non è finalizzata a delimitare il campo di applicazione del nuovo “contratto di assistenza e protezione mutualistica” che l’articolo successivo pone a disposizione delle umbrella companies: quel contratto, infatti deve poter essere stipulato con le u.c. da qualsiasi lavoratore autonomo. La definizione è, invece, indispensabile ai fini dell’applicazione della disposizione contenuta nell’articolo 17-quater, riguardante i platform workers che non usufruiscono dei servizi di una umbrella company.

Il nuovo articolo 17-ter introdotto nella legge n. 81/2017 istituisce il nuovo tipo legale del “contratto di assistenza e protezione mutualistica”, individuandone con precisione l’oggetto e la funzione economico-sociale, al fine precipuo di consentire alle umbrella companies di svolgere per intero la propria funzione di “ricostruzione” della posizione giuridica del lavoratore autonomo con riguardo al suo interesse alla continuità del reddito e alle coperture previdenziali essenziali.

Il contratto di assistenza e protezione mutualistica produce alcune conseguenze del contratto di lavoro subordinato, in particolare per quel che riguarda la costituzione della posizione previdenziale del lavoratore interessato e il pagamento dei relativi contributi, ma non è un contratto di lavoro perché non fa sorgere in capo alla società un diritto alla prestazione lavorativa, né la configura come somministratrice della prestazione stessa a utilizzatori terzi.

A norma del secondo comma, il contratto stesso può essere stipulato dalla società anche con un lavoratore autonomo non rientrante nella fattispecie definita dall’articolo 17-bis. In questo caso, qualora il lavoratore interessato sia assoggettato a un regime previdenziale obbligatorio di categoria, i contributi previdenziali sono versati all’ente previdenziale competente direttamente dalla società titolare del contratto.

Il nuovo articolo 17-quater della legge n. 81/2017 si propone infine di assicurare le protezioni minime costituzionalmente dovute al lavoratore che, per scelta o per necessità, non stipulano il contratto di assistenza e protezione mutualistica con una umbrella company. Lo strumento di cui ci si può utilmente avvalere, in questo caso, è costituito dalla piattaforma Inps istituita dal comma 54-bis del decreto-legge 24 aprile 2017 n. 50, come convertito in legge dalla legge 21 giugno 2017 n. 96, per il pagamento di retribuzione e contribuzione previdenziale del lavoro subordinato occasionale: piattaforma con la quale le piattaforme digitali non avranno difficoltà a interfacciarsi in modo da rendere estremamente semplice questa forma di pagamento del corrispettivo al lavoratore e della relativa contribuzione all’Inps e all’Inail.

Nel contesto di questa disposizione si inserisce anche la regola che impone uno standard retributivo minimo. Confidiamo che questa regola possa agevolmente superare il vaglio di conformità con il diritto europeo, proprio in considerazione degli orientamenti sopra esaminati degli ordinamenti britannico e francese (oltre che di quelli della letteratura statunitense) in materia di estensione ai lavoratori appartenenti a questo nuovo tertium genus di alcune delle protezioni minime previste per i lavoratori dipendenti, e di loro esenzione dalla disciplina antitrust. Occorre, però, che lo standard minimo venga stabilito prestandosi grande attenzione all’esigenza di evitare che ne consegua un effetto depressivo sui livelli di occupazione nel settore: per questo la norma obbliga il Governo a fissare lo standard curando che esso valga a correggere le distorsioni imputabili a fenomeni di monopsonio dinamico, le quali ben possono prodursi anche nei mercati del lavoro maturi, ma non si collochi al di sopra dello stretto necessario per questo fine.

Il terzo comma dello stesso articolo 17-quater disciplina il trattamento fiscale dei compensi pagati nel regime previsto nel comma precedente, disponendo che sui singoli pagamenti non si applichino ritenute d’acconto Irpef, ma che il percettore sia tenuto alla denuncia dei redditi in questo modo percepiti, quando essi, da soli o cumulati con redditi di altra fonte, superino la soglia minima dell’imponibilità.

L’articolo 2 del disegno di legge prevede che le nuove norme entrino in vigore soltanto quando sia stato emanato il decreto del ministro del Lavoro di cui al primo comma del nuovo articolo 17-ter, ma comunque non oltre il novantunesimo giorno successivo alla pubblicazione della nuova legge. Dilazione necessaria, questa, sia per dare il tempo necessario ai soggetti interessati per informarsi compiutamente sul contenuto della nuova disciplina, sia per evitare che i primi contratti di assistenza e protezione mutualistica vengano stipulati prima che sia regolata la materia della relativa contribuzione previdenziale; ma al tempo stesso è necessario il limite massimo della dilazione, per evitare che un ritardo o una omissione dell’emanazione del decreto ministeriale determini una abrogazione di fatto della stessa legge (non sarebbe certo la prima volta che questo accade).

Infine l’articolo 3 contiene la consueta clausola di non onerosità della nuova legge per l’Erario. La verità è che, la legge stessa avrà un effetto positivo per il bilancio statale, facendo emergere e rendendo trasparente lavoro oggi in gran parte irregolare.

Il testo completo del disegno di legge e il relativo articolato si possono leggere nel blog personale di Pietro Ichino



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