Ci sono molte ragioni per essere grati al professor Lorenzo Infantino, (in foto): per la sua voce liberale limpidissima, non a caso così spesso isolata e solitaria nel “contesto” culturale e accademico italiano; per una testimonianza anche umana di assoluta integrità nella battaglia delle idee; e soprattutto, per la passione e la lucidità con cui – ormai da molto tempo – continua a recuperare e direi “salvare” alcuni classici del liberalismo mondiale, riproponendoli in italiano, in versioni accompagnate da prefazioni illuminanti.
Esercizio di archeologia? Al contrario: la magia di quegli autori (Hayek e Mises, in primo luogo) e la cura di Infantino compiono ogni volta un miracolo, che forse – astuzia del caso e della storia – è perfino “aiutato” dalla ferrea censura a quei classici liberali sono stati lungamente sottoposti. Così, il miracolo sta proprio nella inimmaginabile freschezza con cui ci arrivano quelle analisi e quelle soluzioni, anche quando (come nel nostro caso di oggi) si tratta di scritti e saggi del 1937.
Lungo un cammino di ottant’anni, da allora ai giorni nostri, le ideologie e i totalitarismi per un verso, e gli statalismi e le logiche di economia pianificata per altro verso, hanno mostrato la corda, e poi incontrato fallimenti conclamati. Al contrario, il pensiero liberale può riproporsi anche oggi come fiaccola nel buio. Nel caso di Hayek, come Infantino ha avuto più volte modo di osservare, la meraviglia è doppia, se si considera che proprio Hayek dovette assumersi il compito immane di “salvare” un pensiero, di custodirne e renderne nuovamente disponibili alcuni “codici”.
Stavolta Infantino si applica a una parte forse meno conosciuta del pensiero di Hayek, eppure di valore speciale, a mio avviso: quella che individua il legame indissolubile tra conoscenza e competizione, raccolta in un corpus di saggi a partire da “Economics and Knowledge”.
Da un punto di vista liberale – per Hayek, e per Infantino che ci accompagna nel tragitto – occorre dire no al “grande pianificatore”, al “legislatore onnisciente” non solo perché si tratta di realtà nemiche della libertà. C’è di più. Pianificazione e legislatore ultrainterventista hanno anche l’effetto negativo di “escludere la scoperta”. Se c’è una sola “mente” chiamata a “decifrare la realtà”, non può esservi conoscenza realmente accessibile, non può esserci nemmeno confronto tra soluzioni diverse. E ciò (ecco come il cerchio illiberale si chiude) pone naturaliter le basi per un potere illimitato, per un’estensione indefinita e pericolosa dell’azione dell’autorità contro l’individuo, contro gli esseri umani e la loro libertà.
Parallelamente, però, mentre attacca il pianificatore centrale e unico, Hayek (anche su questo Infantino cesella pagine da conservare) non cade nell’estremo opposto: quello di ritenere che “tutti sappiano tutto”. Non è vero nemmeno questo. Se è pericolosa la verticalizzazione autoritaria, lo è anche (per ragioni opposte) una fiducia insensata nella società complessivamente intesa.
Al contrario, siamo dentro un permanente “processo di apprendimento”, dobbiamo adattarci a una sorta di “teoria del disequilibrio”, cioè a una ricerca e a un’esplorazione inevitabilmente destinati a rimanere aperti. La stessa concorrenza assume così i contorni di una discovery procedure, di un procedimento di scoperta di fatti: e il punto sta proprio qui, in questo “camminare fianco a fianco” della conoscenza rispetto alla competizione.
Infantino ha buon gioco a citare in questo quadro un altro gigante, Adam Smith: nella stessa pagina de La ricchezza delle nazioni in cui afferma che “nella propria condizione locale, ognuno può giudicare meglio di qualsiasi uomo di stato o legislatore quale sia la specie di industria interna che il suo capitale può impiegare”, trovate un’altra osservazione illuminante di Smith: “l’uomo di stato che dovesse cercare di indirizzare i privati relativamente al modo in cui dovrebbero impiegare i loro capitali non soltanto si addosserebbe una cura non necessaria, ma assumerebbe un’autorità che non solo non si potrebbe affidare tranquillamente a nessuna singola persona, ma nemmeno a nessun consiglio o senato, e che in nessun luogo potrebbe essere più pericolosa che nelle mani di un uomo abbastanza folle e presuntuoso da ritenersi capace di esercitarla”.
Modo mirabile per tenere insieme la pluralità dei punti di vista conoscitivi con il rifiuto dello statalismo, dell’autoritarismo, del culto della decisione centralizzata e pianificata. E – si badi bene – non è “solo” economia: siamo al cuore di una visione umana e umanistica, in cui l’ignoranza e la fallibilità della nostra condizione devono spingerci a una continua ricerca, e in cui la libertà è – insieme – economica, conoscitiva, politica. In ultima analisi, libertà senza aggettivi.
Friedrich von Hayek
Competizione e conoscenza
Rubbettino, 2017, nuova edizione con prefazione e cura di Lorenzo Infantino