No. Matteo Renzi non ha voluto scomodarsi più di tanto. Il segretario del Pd ha preferito rimanere sul suo treno elettorale, fermo in una stazione fra l’Abruzzo e le Puglie, anche a costo di sembrare chiuso in una cella, e partecipare in collegamento alla puntata della trasmissione serale di Lilli Gruber, su La7, dedicata al pasticciaccio della Banca d’Italia e del suo governatore uscente Ignazio Visco.
Il confronto è stato praticamente di due a uno: da una parte la stessa Gruber e Beppe Severgnini, entrambi critici, sia pure con garbo, e dall’altra lui, a sostenere le ragioni dell’intervento parlamentare del suo partito contro il rinnovo di Visco, per chiamare le cose col loro nome, anche se il segretario del Pd ha assicurato di voler accettare qualsiasi proposta il governo dell’amico Paolo Gentiloni deciderà di formulare al presidente della Repubblica sul vertice della Banca d’Italia alla scadenza, a fine mese, del governatore uscente.
Renzi quindi accetterebbe anche una conferma di Visco, che tuttavia, essendo il mandato di sei anni e traducendosi quindi in dodici con una rinomina di Visco, farebbe di lui un “governatore a vita”, ha detto con chiara ironia politica il segretario del Pd. Era così una volta, del resto, ma si decise poi di cambiare con un mandato, appunto, di sei anni che sembrò escludere implicitamente per la sua stessa lunga durata un rinnovo: per giunta in un clima politicamente teso come questo.
Contro una conferma di Visco giocano la posizione espressa in Parlamento dalle opposizioni grillina e leghista, con tanto di mozioni ammesse dalla presidente della Camera, e quella del Pd, la cui mozione invece è stata approvata col parere favorevole espresso dal governo al termine di una trattativa sul suo contenuto, ammorbidito rispetto al testo originario.
Questa trattativa smentisce da sola lo scenario un po’ apocalittico addebitato al Pd di un governo colto completamente alla sprovvista, all’oscuro di tutto, con un ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan che telefona esterrefatto al presidente del Consiglio chiedendogli se fosse veramente vera la notizia di una mozione del gruppo di maggioranza a Montecitorio. A condurre il negoziato è stato quello che Renzi ha definito “il vice ministro Baretta”, Pier Paolo, ex sindacalista della Cisl, di una certa esperienza ormai al governo.
A dire il vero, Baretta da tutti gli atti consultabili via internet risulta, sino al momento in cui scrivo, non vice ministro ma sottosegretario – l’unico sottosegretario – al dicastero dell’Economia e delle Finanze. Vice ministri risultano invece il bocconiano Luigi Casero, ex berlusconiano, e il migliorista dell’ex Pci Enrico Morando. Ma non fa niente, sottosegretario o vice ministro che sia, o che diventi dopo la sponsorizzazione sfuggita al segretario del suo partito, Baretta non ha certo parlato a titolo personale quando ha annunciato il parere favorevole del governo alla mozione che ha fatto tanto scandalo negli ambienti bene delle istituzioni, della finanza e di altro ancora per questioni quanto meno di galateo. Al cui rispetto Renzi ha dichiarato di preferire la difesa dei risparmiatori danneggiati dalla mancata o scarsa vigilanza della Banca d’Italia sulle banche gestite con troppa allegria o disinvoltura.
Messo il problema in questi termini, pure Silvio Berlusconi, il cui partito era rimasto alla finestra a Montecitorio astenendosi, ha dovuto o voluto scoprirsi con un giudizio negativo sulla vigilanza effettuata dalla Banca d’Italia e dal governatore nominato quando lui era presidente del Consiglio. E, detto da uno che potrebbe tornare a diventare dopo le elezioni parte della maggioranza, non sembra proprio un viatico per la conferma di Visco. Su cui non a caso cominciano a circolare voci di dubbi circa l’opportunità di lasciarsi confermare, col rischio di continuare ad essere un bersaglio politico.
Fra l’altro, vanno considerati gli ineludibili appuntamenti di Visco con la commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche appena insediata e presieduta da Pier Ferdinando Casini, che pure era stato contrario alla sua istituzione nel clima elettorale che si trascina ormai da un anno, anche se agli alti livelli istituzionali si finge di ignorarlo per non ammettere che convenisse forse anticipare il ricorso alle urne dopo la bocciatura della riforma costituzionale, l’anno scorso.