Flop dei sondaggi? Il professor Romano Scozzafava, già ordinario di calcolo delle probabilità all’Università di Roma “La Sapienza”, non è per nulla sorpreso dall’incoerenza riscontrata tra i dati rivelati dai sondaggi pre-elettorali e i risultati ufficiali delle politiche. Intervistato da Formiche.net Scozzafava invita tutti a spolverare un po’ la memoria per capire che quello che si è verificato questa notte, in realtà è una storia vecchia. E forse ha più a che vedere con il modo come vengono letti i sondaggi dal mondo dell’informazione che con i sondaggi in sé.
Dove peccano i sondaggi
Per mettere in guardia i cittadini da un utilizzo improprio dei sondaggi elettorali, Scozzafava ha esaminato profili, metodi e committenze di sondaggi e sondaggisti, insieme con Edoardo Cicchinelli e Mario Staderini del movimento dei Radicali italiani. Anche il sondaggio più “scientifico possibile” incontra evidenti difficoltà. Ma per il professore la “colpa” non risiede nella metodologia adottata ma nella pretesa di chi diffonde i sondaggi pensando o illudendo che siano dati certi. E per Scozzafava sarebbero due in particolare gli elementi su cui si tace: “Il primo è che non sempre l’esatta composizione del campione viene indicata dagli organi di informazione che pubblicano il sondaggio”. Ma il secondo elemento sottaciuto rischia di essere ancora più decisivo per le sorti di un sondaggio: “Una volta formato un campione e ammettendo pure che esso soddisfi i requisiti di rappresentatività – aggiunge il professore – succede che vi è sempre un’altissima percentuale, che può arrivare anche a superare l’80%, di intervistati che si rifiuta di rispondere”.
Questo ulteriore parametro messo in risalto da Scozzafava fa sì che il campione delle persone che rispondono risulti sicuramente “distorto”. A ciò l’esperto aggiunge altre possibili cause di distorsione: prima tra tutte “il numero irrisorio del campione di riferimento (800-1000 persone) per cui rispetto a una popolazione costituita da poco meno di 50 milioni di elettori, l’opinione di uno solo è rappresentativa per oltre 50.000 elettori (questo comporta un’incertezza sui risultati superiore al 3%, sempre ammesso che il campione non sia distorto, cosa che, come abbiamo visto, non si verifica)”. Un altro aspetto riguarda la indicazione di un possibile leader: spesso quando vengono elencate le percentuali di gradimento, non viene detto che gli intervistati possono indicare solo i nomi proposti e non quello di un qualunque possibile leader.
Chiavi di lettura
D’accordo con Mannheimer, anche Scozzafava invita a considerare poi la percentuale degli indecisi, seppur con alcune differenze. Mentre per il sondaggista che scrive sul Corriere della Sera l’affidabilità dei sondaggi vacilla “quando (era già successo nel 1994 con la discesa in campo di Berlusconi) cambia completamente il quadro politico”, cambiamento che per Mannheimer in questo ultimo caso ha portato ad una crescita esponenziale della percentuale dei voti ‘last minute’, decisi l’ultima settimana, per Scozzafava la percentuale degli indecisi rientra tra gli elementi che chi diffonde in prima battuta un sondaggio dovrebbe evidenziare tra i limiti metodologici, e non come un argomento da parte dei sondaggisti da tirare fuori a posteriori. E qui ritorna il problema dei “rifiutanti”: “E’ possibile – ipotizza il professore della Sapienza – che una parte di coloro che non hanno risposto non l’abbiano fatto per timore a manifestare la loro preferenza per Grillo. Stesso discorso vale per Berlusconi. Motivo per cui il successo del Movimento 5 stelle, e di conseguenza del Pdl, possa essere stato sottovalutato nei sondaggi pre-elettorali”.
E rispondendo alle riflessioni di Roberto D’Alimonte, sondaggista del Sole 24 ore, secondo il quale sarebbero “cambiate in modo radicale alcune coordinate fondamentali dei comportamenti di voto degli italiani”, tanto da non permettere “agli strumenti comunemente utilizzati per studiare gli atteggiamenti politici (campioni statistici rappresentativi, interviste, sondaggi) di cogliere il cambiamento”, Scozzafava sottolinea ancora una volta la natura probabilistica dei sondaggi e nega che tale responsabilità possa essere imputata agli strumenti utilizzati, che hanno strutturalmente (per così dire) queste caratteristiche d’incertezza. In conclusione, molto si può capire anche prima e non solo dopo le elezioni.