Da molti giorni vari osservatori politici ma anche dirigenti di Mdp e dello stesso Pd – ipotizzando (o persino auspicando) un risultato cattivo per il partito di maggioranza e i suoi alleati alle elezioni siciliane – scrivono (o sperano) che all’interno del gruppo dirigente del Partito democratico possa riaprirsi persino la questione della permanenza in carica di Renzi come segretario. Fermo restando che bisognerà verificare quali saranno i risultati veri che scaturiranno dalle urne e non i sondaggi preelettorali, perché mai dovrebbe riaprirsi una tale questione se anche il Pd fosse sconfitto? Se ne può discutere pacatamente, senza essere iscritti d’ufficio alla schiera dei renziani a prescindere o, al contrario, a quella dei suoi nemici giurati ossessionati solo dalla sua guida del Pd?
Perché mai allora il suo segretario dovrebbe essere indotto a dimettersi, o accettare condizionamenti che non abbiano nello statuto del partito il loro fondamento, in caso di insuccesso? Aveva forse imposto un suo candidato alla presidenza della Regione, pur non mancando aspiranti siciliani renziani a tale ruolo, come ad esempio il sottosegretario Faraone ? No, è stato scelto invece il professor Fabrizio Micari, rettore dell’Università di Palermo, ovvero il candidato proposto dal sindaco Leoluca Orlando che nella tarda primavera è stato rieletto primo cittadino del capoluogo regionale da uno schieramento largo – questo è un aggettivo che piace e ampiamente usato dai fautori di un centrosinistra aperto a tutte le sue componenti, nessuna esclusa. Un candidato, il prof. Micari, cui invece Mdp – rompendo inopinatamente lo schieramento vincente di Palermo che includeva anche Ap, invisa però a livello regionale – ha contrapposto il nome di Claudio Fava.
Inoltre, Renzi si era forse dichiarato indifferente alla ricandidatura di Rosario Crocetta che avrebbe potuto indebolire il centrosinistra? No, lo aveva indotto a ritirarsi promettendogli una candidatura per il Parlamento nelle prossime politiche. E allora perché in caso di sconfitta dovrebbe essere messo in condizione di dimettersi o, almeno, essere ridimensionato? Vorrà dire che l’elettorato siciliano, o almeno quello che sarà andato alle urne, avrà dato una valutazione negativa al governo uscente dell’Isola (che non era guidato certo da Renzi) votando di conseguenza. E se uscisse sconfitto il candidato dello schieramento voluto e sostenuto dal sindaco Orlando, ed anche da Ap, non si dovrebbe più correttamente parlare di sconfitta di quello stesso metodo e non di Renzi ?
A Genova – ma Mdp sembra dimenticarlo – alle ultime comunali il candidato dello schieramento largo di centrosinistra è stato sconfitto. Uno schieramento largo pertanto non è sinonimo solo di vittoria per il centrosinistra: e questo dovrebbe essere chiaro a tutti. Ma molti si ostinano a considerarlo in quanto tale – e non invece le sue proposte programmatiche – la carta vincente per le prossime elezioni anche a livello regionale.
Ma un’altra domanda fin troppo ovvia deve essere rivolta a chi sembra ossessionato dalla figura del segretario del Pd e se ne augura in ogni momento la sconfitta e l’estromissione dalla guida del partito. Non è stato forse rieletto a larghissima maggioranza dal congresso svoltosi a marzo scorso e dalle successive primarie di fine aprile nelle quali il 69,17%% di 1.817.412 elettori lo ha confermato (a scrutinio segreto) alla guida del Pd? Lo hanno forse dimenticato tutti coloro che un giorno si e l’altro pure vorrebbero che Renzi scomparisse dalla scena politica, o che almeno vi svolgesse ruoli del tutto secondari?
Sotto questo profilo chi scrive ha valutato una vera caduta di stile l’intervista rilasciata al Fatto Quotidiano qualche giorno fa dal senatore del Pd Massimo Mucchetti, autorevole presidente della Commissione industria del Senato, che è arrivato a chiedere a Fassino e Veltroni di far convocare una riunione della firezione del partito per “cacciare” Renzi dalla segreteria. Una grave caduta di stile del senatore Mucchetti, stimato giornalista economico in aspettativa dal Corriere della Sera che nel 2013 venne eletto in quanto inserito nelle liste bloccate da Pierluigi Bersani: un privilegiato, insomma, che sarebbe stato interessante invece vedere all’opera come candidato in un sistema elettorale con le preferenze, o in un collegio uninominale in cui confrontarsi con altri competitor.
Insomma, certo antirenzismo d’accatto – lo scriviamo senza voler offendere chicchessia – farebbe bene invece a misurarsi nel merito specifico dell’azione di governo del Pd guidato prima da Renzi e ora da Gentiloni, senza agitare pretestuosamente i propri motivi di dissenso, ma spiegando bene ai cittadini cosa non si approvi specificamente, ad esempio, nel Jobs act – l’abolizione dell’art. 18, immaginiamo – e con cosa potrebbe essere sostituito o almeno attenuato – se lo si ritenesse del tutto sbagliato; o nella legge sulla buona scuola – che Roberto Speranza cita sempre come un mantra – senza che faccia mai riferimento agli articoli su cui dissente, alle modifiche da apportarvi – oltre a quelle già introdotte da Valeria Fedeli – e su come attuarla al meglio negli aspetti condivisibili, se mai ve ne fossero per lui. E sulla politica per il sud, a partire dal Masterplan – annunciato nel 2015, poi strutturato con i patti con le regioni e le città metropolitane, e poi completato con altri due recenti provvedimenti legislativi – che stanno consentendo alle regioni meridionali di tornare a crescere, in alcune aree superando anche i tassi di sviluppo del centro nord – i critici alla sinistra del Pd non hanno nulla da dire?
Ma anche su altri risultati, a nostro avviso fondamentali, della politica governativa si dovrebbero esprimere i critici di Renzi. Ad esempio, perché nessuno parla in Mdp, in Sinistra italiana o in altre settori della sinistra dell’imponente ed apprezzato lavoro svolto dal ministro Delrio col riordino e la riduzione (finalmente) delle Autorità portuali, con il nuovo codice degli appalti, con il rilancio di una grande politica di infrastrutturazione del Paese e con opere realmente utili, snelle e condivise? E sulla project review che ha fatto risparmiare miliardi di euro allo Stato per determinate opere, nessuno ha da dire qualcosa? Verrebbe da chiedersi, al riguardo, se i critici più ostinati alla sinistra di Renzi e dei governi guidati dal Pd conoscano poi realmente (articolo per articolo) certi suoi provvedimenti approvati dal Parlamento. E sulle misure di politica economica, con particolare riferimento a quelle per Industria 4.0 Pierluigi Bersani – che è stato nel primo e secondo governo Prodi e nel governo D’Alema uno stimato Ministro dello sviluppo economico – non ha niente da dire?
Insomma, sempre e soltanto via Renzi, questa deve essere l’unica parola d’ordine di chi si muove alla sinistra del Pd? Non si ha la percezione che così facendo si rischia di cadere in una sorta di infantilismo politico ai limiti del ridicolo?