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Chi punta nel mondo sulla Green economy

“Europa, Cina, Usa: il futuro della green economy nei nuovi equilibri mondiali” è il tema della seconda giornata degli Stati Generali della Green Economy, in svolgimento a Rimini nell’ambito di Ecomondo. Ne hanno discusso l’economista americano Woodrow Clark, l’eurodeputata Monica Frassoni, Cao Jianye, consigliere scientifico dell’Ambasciata Cinese e alcuni esponenti di importanti aziende internazionali (Vestas, Arcadis, Novamont, Enel Green Power).

“La green economy – ha detto Edo Ronchi (in foto), presidente della Fondazione Sviluppo Sostenibile, aprendo i lavori – sta andando avanti; regge il Europa e c’è in particolare una spinta interessante da parte della Francia; sta diventando un elemento di forza per la Cina e, nonostante la posizione del Presidente Trump, anche gli Stati Uniti puntano ancora sul green”.

Nel 2016, per il terzo anno consecutivo, le emissioni mondiali e la produzione di gas serra non sno aumentate. La capacità di generazione elettrica da rinnovabili è raddoppiata nei primi 15 anni del secolo. Il “green economy progress” (l’indicatore dell’UNEP che valuta i progressi degli Stati in green economy) vede il 79% dei Paesi in avanzamento e il 21% in stallo, tra cui la Cina.

L’Europa ha raggiunto in anticipo gli obiettivi del pacchetto di misure per il clima al 2020; ma nel nuovo pacchetto al 2030 sono stati identificati target che difficilmente consentiranno di centrare l’obiettivo di riduzione dei gas serra del 40%. L’Europa è anche alla vigilia dell’approvazione della nuova direttiva sui rifiuti e sulla circular economy, che si propone di rendere l’economia europea la più efficiente del mondo nell’utilizzo delle risorse e quindi più green e più competitiva.

La Cina ha puntato in passato su un modello di crescita di bassa qualità ed elevati impatti ambientali, con un enorme utilizzo di carbone come fonte di energia. Questo modello di crescita ha permesso a questo Paese di diventare una potenza economica mondiale, ma anche il principale “produttore” di gas serra, con il 29% di emissioni globali di CO2. Le emissioni, comunque, non crescono dal 2014, ma il programma di misure per l’Accordo di Parigi presentato dalla Cina risulta insufficiente e prevede un aumento di emissioni fino al 2030. Si registra, tuttavia, una svolta green da parte del governo cinese, segnalata anche dalla crescita del fatturato di beni e servizi ambientali, l’aumento delle superfici forestali, la riduzione del consumo di pesticidi e fertilizzanti e gli enormi investimenti sullo sviluppo delle energie rinnovabili.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti occorre iniziare a valutare i possibili effetti della decisione del Presidente Trump di sfilarsi dall’accordo sul clima di Parigi. Gli esiti non sono affatto scontati. Circa il 40% delle emissioni di gas sera proviene da Stati che hanno dichiarato che manterranno il loro impegno di ridurre le emissioni sottoscritto a Parigi. Nel giugno di quest’anno, la Conferenza dei Sindaci, in rappresentanza di oltre 1.400 città superiori ai 30 mila abitanti, ha chiesto addirittura obiettivi più abiziosi di quelli previsti dall’accordo. Vi sono inoltre alcuni indicatori che vanno tenuti presenti: gli investimenti nelle rinnovabili continuano a crescere (a marzo e ad aprile 2017 solare ed eolico hanno superato il 10% della domanda elettrica). Gli Stati Uniti continuano ad essere leader mondiali nella produzione di biocombustibili e nelle tecnologie per l’efficienza energetica.

È sotto gli occhi di tutti che i numeri  della green economy negli Usa sono molto più altri della brown economy. Per ora le dichiarazioni del Presidente Trump sull’Accordo di Parigi non hanno prodotto effetti rilevanti. Ma siamo solo agli inizi.



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