Al netto dell’esclusione dell’Italia dai campionati mondiali di calcio, si stenta a individuare la notizia della giornata, almeno di quella politica. È l’apertura del segretario del Pd Matteo Renzi anche agli scissionisti per un’alleanza elettorale che non lasci solo a Silvio Berlusconi e a Beppe Grillo la corsa allo scudetto di governo nella prossima primavera, com’è appena accaduto in Sicilia per la guida della regione? O è la porta chiusagli in faccia, prima ancora che la direzione del Pd votasse sulla proposta del segretario, da un Pier Luigi Bersani imbaldanzito dalla prospettiva di partecipare ad un cartello elettorale antirenziano capeggiato da una coppia addirittura istituzionale, costituita dai presidenti del Senato Pietro Grasso e della Camera Laura Boldrini?
Le domande tuttavia non finiscono qui. Sarebbe troppo semplice e troppo facile per le abitudini e i gusti degli attori della politica nazionale, e degli spettatori.
All’interno del Pd fa più notizia il consenso espresso alla relazione di Renzi dalla corrente, minoritaria al congresso, del governatore pugliese Michele Emiliano, che ha preso sul serio il segretario del partito, o l’astensione scettica del ministro della Giustizia Andrea Orlando e dei suoi amici, sospettosi – come al Fatto Quotidiano di Marco Travaglio – che l’ex presidente del Consiglio abbia fatto solo “finta” di aprire agli scissionisti, avendo rifiutato l’abiura di tutte le scelte da lui compiute sinora, al governo o al partito, o in entrambi? O la notizia vera è quella dell’adesione immediata e compiaciuta alla relazione di Renzi alla direzione del partito annunciata dal ministro Dario Franceschini? Di cui nessuno, ma proprio nessuno, nei giornali e dintorni smette di attendere invece la rottura con l’ex presidente del Consiglio.
Potrebbero seguire altre domande ancora, alle quali però preferisco – stando sempre sul piano delle notizie – la segnalazione dello scrupolo avvertito da Eugenio Scalfari di sottrarsi ai tempi del suo appuntamento domenicale con i lettori per commentare a botta calda la riunione della direzione del Pd. Egli ha promosso a pieni voti Renzi, dopo averlo criticato più volte negli ultimi tempi. E ciò sino ad attribuirgli la proposta non solo di un’alleanza elettorale con gli scissionisti, ma di un loro ritorno nel partito, avvertendo e denunciando come ostacolo ad una simile salvifica prospettiva della sinistra l’impegno politico nel quale si stanno spendendo contro Renzi i presidenti delle Camere. Ai quali il fondatore della Repubblica, sia pure di carta, ha detto con franchezza, anche ricordando la propria esperienza di deputato di tanti anni fa, che “prima di dimettono” dalle loro cariche istituzionali “meglio è”, avendo essi ormai perduto la credibilità necessaria alla neutralità dei loro ruoli.
Grasso e Boldrini faranno probabilmemte spallucce, magari consolandosi e incoraggiandosi reciprocamente al telefono, come hanno già fatto quando l’uno e l’altra sono intervenuti in circostanze diverse a gamba tesa nel dibattito politico. Ma sarebbero spallucce amare per un Parlamento già troppo delegittimato di suo per le regole incostituzionali con le quali furono elette cinque anni fa le Camere che Grasso e Boldrini presiedono: incostituzionali, non per qualche capriccioso giudizio di un passante ma per verdetto dei giudici a ciò preposti.