Il gala annuale della Zionist Organization of America, tenutosi a New York City lo scorso 12 novembre, è stato occasione per rinsaldare il legame che unisce una parte della comunità ebraica statunitense (ZOA ne è l’espressione più conservatrice) e un pezzo significativo dell’establishment trumpiano che ha accompagnato il presidente nella campagna elettorale e nella prima parte dell’amministrazione.
Come recentemente riportato da Formiche.net, su invito di Morton Klein, presidente di ZOA, alla celebrazione hanno preso parte Steve Bannon, già chief strategist di Donald Trump, Sean Spicer, ex portavoce della Casa Bianca, e Sebastian Gorka, già deputy assistant del presidente nella prima metà del 2017.
L’invito al gala ha sollevato non poche polemiche da parte di coloro che accusano Bannon di antisemitismo. In tutta risposta, molti tra i partecipanti alla cena hanno elogiato gli ex componenti dello staff presidenziale per la loro vicinanza alla comunità ebraica. Su questo punto è esemplare il pensiero di Alan Dershowitz, professore di legge ad Harvard e punto di riferimento a ZOA: “We live in increasingly dangerous times… To young Jewish students, The Forward [rivista dell’ala progressista nella comunità ebraica statunitense] is more dangerous than people like Gorka and Bannon”. La vicinanza e l’amicizia nei confronti di Bannon e colleghi è emersa anche dagli applausi e dai selfie scattati insieme a molti tra gli ospiti in sala.
Come riportato dal sito Daily Beast, i tre sono stati applauditi come delle rockstar e per qualche ora le tensioni e le difficoltà dell’amministrazione sono state un pensiero lontano. Steve Bannon è stato presentato come l’uomo che ha portato il presidente alla Casa Bianca: “This man brought the 45th president into the White House”.
Dal canto suo, Bannon ha colto al volo l’opportunità per manifestare la sua stima in Donald Trump e la fiducia nel progetto che ha determinato la vittoria sull’establishment di Washington: “We had the finest candidate since Ronald Reagan, the greatest public speaker, if not best orator, since William Jennings Bryan in Donald Trump”.
Dalle parole di Bannon e dagli applausi in sala quasi non si direbbe che esistano degli attriti tra la comunità ebraica statunitense e il capo della alt-right (destra conservatrice e alternativa al partito repubblicano) nonché cofondatore di Breitbart, sito di estrema destra spesso associato all’antisemitismo, al nazismo e alla xenofobia (fonte Wikipedia).
Proprio per smentire l’accostamento all’antisemitismo, Morton Klein ha voluto richiamare lo stretto legame tra l’ex consigliere della Casa Bianca e l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti nonché l’unanimità di vedute tra ZOA e l’ala più conservatrice che ha partorito la dottrina dell’America Great Again.
Il feeling con Spencer e Gorka, cui è stato chiesto di firmare autografi e di partecipare a foto di gruppo con gli invitati rende, poi, bene l’idea del valore che una parte di quest’amministrazione ha assegnato ai contatti con la comunità ebraica.
Non è un caso che i provvedimenti dell’amministrazione Trump più vicini ad Israele siano proprio quelli approvati nel primo corso della presidenza, quando Bannon era ritenuto uno degli uomini più influenti e la sua capacità di incidere sulle scelte di Trump era fortissima. A quel periodo risale la scelta di affossare l’accordo tra la comunità internazionale e Teheran sul nucleare iraniano e, ancora, l’idea di trasferire l’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme.