“Il giorno prima di partire dagli Stati Uniti per tornare qui, nella mia Beirut, sono andato a trovare mio nipote, un affermato ingegnere. Quando mi ha visto mi ha parlato in slang e mi ha detto: ‘Mi annoio, zio. Lavoro a un progetto finalizzato al 2050. Chissà se vedrò mai il frutto del mio lavoro’. Dunque in America si pensa al 2050, qui invece si litiga ancora sulla battaglia di Karbala nel 680, sull’assassinio dell’imam Hussein”.
Voce possente, inglese dal chiaro accento d’oltre Atlantico, Tom Harb dopo essere stato un deputato al Congresso Americano è oggi un autorevole esponente di numerosi think tank arabo-americani pro Donald Trump. Non immaginavo di conoscerlo arrivando a casa di alcuni amici comuni e dopo un esordio così efficace sull’anacronismo dell’uso politico delle religioni, del presunto eterno conflitto tra sunniti e sciiti, la sua attenzione non poteva che spostarsi su Mbs, come tutti ormai chiamano il giovane erede al trono saudita, Mohammad bin Salman. Già nella sua età c’è uno stravolgimento, il termine saudita era sinonimo di vecchio, corrotto, decrepito. Oggi invece il barometro del Medio Oriente, cioè la vecchia volpe drusa Walid Jumblatt, si può permettere di ammiccare suadente al giovanotto saudita così, su Twitter: “Se noi nel piccolo Libano dovessimo seguire il suo esempio ci servirebbero due hotel Ritz Carlton”. Jumblatt fa riferimento alla decisione di Mbs, divenuta popolarissima già dopo pochi minuti il suo annuncio, di arrestare tanti principi sauditi ritenuti corrotti e rinchiuderli tutti nell’hotel a cinque stelle Ritz Carlton di Riad fino a quando non decideranno di restituire il maltolto, stimato in oltre cento miliardi di dollari. “Con questa mossa e con la decisione di dare alle donne il naturale diritto di guidare Mbs ha già costruito un’alleanza, un blocco sociale maggioritario, lasciando al freddo il blocco nostalgico. In Arabia Saudita il 60% della popolazione ha meno di trent’anni, le donne credo numericamente pesino altrettanto. Ecco perché dico che oggi a Riad si stia scrivendo la storia, o per meglio dire, è chiaro che la storia si è rimessa a camminare. A noi aiutarla a imboccare la strada giusta, quella della cooperazione con le altre civiltà. Non quella oscurantista e revanchista di Tehran. Certo, loro in Siria sono sul carro che ha vinto, quello russo. Ma la Siria ha bisogno di 350 miliardi per essere ricostruita, e chi li mette a disposizione tutti questi soldi? Per me c’è poco da pensarci su; gli arabi e il Fondo Monetario Internazionale. Ma lo faranno in base a patti chiari”.
Mi sembra chiaro che Mr. Harb immagini una convergenza di arabi e Fondo sull’uscita di scena, in tempi non biblici ma abbastanza rapidi, di Assad e comunque sulla non ingerenza con proprie truppe dell’Iran nella gestione politica della Siria. E questo scenario a suo avviso potrebbe ridare ossigeno al movimento verde iraniano, visto che al popolo iraniano difficilmente aggrada che il loro governo spenda ogni anni non per loro ma per armare Hezbollah 2 miliardi di dollari e 1 miliardo per armare e aiutare Assad.
Ma la risposta su Mbs che maggiormente mi ha interessato è quella che mi ha dato in questi giorni l’ex deputato maronita Fares Souaid, appena rientrato da Riad con il patriarca Béchara Boutros Raï. “La pace si fa con la diplomazia, ma è soprattutto un fatto culturale. Bisogna uscire dall’immobilismo identitario, e in questo Mbs indica una evidente novità. E mi chiedo se, intanto che valutiamo, noi arabi non abbiamo nulla da dire su noi stessi, sulla nostra politica, se dobbiamo continuare a seguire una mentalità fatta di luoghi comuni, di pregiudizi, di rivendicazioni, o non dobbiamo criticare le nostre mancanze, i nostri sistemi, prima di quelli altrui”.
Souaid sa bene che per alcuni sotto il riformismo di Mbs c’è poco oltre la crisi evidente di un regno senza altra prospettiva che aggrapparsi a questo giovanotto capriccioso e impulsivo che vuole cambiare la storia in pochi giorni. Poi magari romperà il giocattolo, si irriterà e lo getterà via. Ma sa anche che nelle prigioni saudite, oggi, ci sono 15 predicatori tutti influenti e tutti ritenuti fondamentalisti. Così mi sembra lecito dire che il suo discorso “moderato” ancora non si sa quale sia, si può affermare però che stia cercando di definirlo su categorie nuove, non sono solo sul pragmatismo. Osserva il professor Sami Nader: “So che ci sono pregiudizi, dubbi, attese, so che appare un enigma, ma c’è l’emiro di Abu Dhabi, bin Zayed, a dirci che la strada esiste. Sono entrambi giovani, bin Zayed forse è il modello, un giovane che ha avviato la controrivoluzione in Iraq, cioè che ha avviato il processo che ha portato alla fine dell’Isis”. Osservo che pare anche uno spregiudicato, c’è chi dice che abbia lavorato a certi progetti andati male in Turchia, con Fetullah Gulen voleva sbarazzarsi di Erdogan. “Certo, se ne parla molto, questa è una fase in cui si usa poco il fioretto. Ma la moschea intestata a Maria madre di Gesù dice qualcosa, come la recente visita che gli ha fatto il nostro premier, Saad Hariri. Quando è andato ad Abu Dhabi, non c’è andato per fingere di non essere agli arresti domiciliari a Riad, ce lo ha mandato Mbs, come a dire ‘vai e vedi come si fa’”.
Cosi c’è chi pensa, o spera, che la strada di Mbs sia quella di chi sogna di diventare un Deng Xiaoping arabo: non si cambia in un giorno una religione di Stato divenuta stampella reazionaria almeno dal 1979, come Deng sapeva di non poter cambiare il partito comunista cinese e tutti i suoi segretari territoriali in un giorno: si può cambiare in fretta però l’economia, con fondi sovrani e aree di libero scambio sui propri territori, il resto segue. Forse.
Le riforme di Mbs andranno come andranno, certo nel mondo arabo si respira un’aria di enorme attesa. E fare spallucce, dicendo che è tutta una messa in scena, appare veramente strano, quasi a non rendersi conto della posta in gioco. Questa è consapevolezza diffusa anche tra i cristiani libanesi, ma nessun libanese che io conosca ha condiviso l’idea suggerita da Thomas Friedman, che nel suo apprezzatssimo e interessantissimo reportage da Riad, con tanto di intervista a Mbs, ha indicato una Primavera dall’alto avviata dal giovane principe. Quelli con cui ho parlato a Beirut, pur sperando quasi tutti che il riformismo dall’alto di Mbs sia profondo e dia frutti, sono convinti che la Primavera è un’altra cosa, è un’impresa collettiva, non la stagione di un singolo, chiunque esso sia. Forse la Primavera, mi hanno detto in tanti, era una speranza collettiva tradita da un singolo, e fanno il nome di Obama. Ma ora di lui ci si occupa poco, c’è Mbs a catalizzare le attenzioni e le speranze, anche di chi non crede che basti un uomo solo a voltare pagine così pesanti…