Come sempre, in tempi di manovra, al capezzale di un’Italia ancora non risanata si parla di azioni per una legge di bilancio efficace e, più in generale, di una politica economica che aiuti il Paese sulla strada della ripresa. Questioni che si fanno ancora più stringenti quest’anno, a pochi mesi da elezioni politiche dall’esito quanto mai incerto. Luigi Paganetto (nella foto), presidente della Fondazione Economia Tor Vergata e docente alla Scuola Nazionale dell’Amministrazione, non ha dubbi: occorre una “scelta netta a favore di una politica pluriennale” di cui si dichiarino obiettivi e strumenti da adottare e su cui il governo chieda la fiducia. “Dovrebbe essere chiaro e credibile – spiega – l’impegno a realizzare le scelte presentate in modo che si possa restringere l’area dell’incertezza e produrre aspettative di inclusione sociale, istruzione, occupazione, in particolare per i giovani”. “Preoccupa” invece il fatto che le maggiori forze politiche guardino “all’espansione della spesa e al superamento delle regole di Maastricht come la via maestra per risolvere i problemi dell’economia”. L’espansione della spesa consentita da Bruxelles, ricorda Paganetto, “non ci ha consentito fino ad oggi di crescere ai ritmi degli altri Paesi”.
LA LEGGE DI BILANCIO 2018
La manovra al vaglio del Parlamento prevede una riduzione delle entrate dello 0,8% del Pil – a causa della cancellazione dell’aumento delle aliquote Iva previsto dalle clausole di salvaguardia – e un aumento del gettito grazie al contrasto all’evasione fiscale e a maggiori imposte dirette per 0,2 punti di Pil. “Anche se sul lato della spesa la manovra prevede risorse per occupazione, investimenti e reddito d’inclusione e l’impegno dello 0,1% di Pil per il rinnovo dei contratti pubblici, il rapporto tra spesa e Pil dovrebbe diminuire per effetto della spending review e, soprattutto, delle minori spese per interessi – segnala Paganetto -. Non va dimenticato che la riduzione della spesa in questi anni di scelte a favore dei bonus (80 euro, bonus bebè, ndr) è quasi del tutto legata alla riduzione dei tassi d’interesse via Quantitative Easing”. Il saldo tra evoluzione delle entrate e della spesa porta dunque a un deficit pubblico “che passa dal 2,1 all’1,6% (rispetto all’1% preventivato)”. Giudizi “sostanzialmente positivi”, ricorda il docente del secondo ateneo romano, sono arrivati da Banca d’Italia, Ufficio parlamentare di bilancio e Corte dei Conti, che però hanno fatto osservazioni sulla “possibile evoluzione del debito e dei saldi di finanza pubblica al netto delle clausole di salvaguardia che da sole determinano un minor gettito di quasi 16 miliardi”.
LE CRITICHE DI BRUXELLES
Non sembra invece dello stesso parere il vicepresidente della Commissione europea, Jyrki Katainen, che ha dichiarato: “Tutti possono vedere dai numeri come la situazione in Italia non migliori”. “Non sappiamo quale sia l’origine delle critiche – commenta Paganetto – anche perché bisogna dar atto al Governo, al netto della navigazione della legge in Parlamento, che, nelle condizioni date, era assai difficile far di più”. Le parole di Katainen peraltro non stupiscono visto che già il Documento di lavoro della Commissione europea sull’Italia, a margine del semestre europeo, rivelava “le molte preoccupazioni sull’evoluzione della nostra economia che influenzano il clima prevalente a Bruxelles sull’Italia nel medio periodo. A ciò si aggiungono le preoccupazioni per una manovra che è sì di portata limitata ma, per fortuna, a carattere non elettorale anche se rischia di cambiare nel percorso da fare in Parlamento fino all’approvazione”. In particolare, nel Rapporto della Commissione, si sottolineavano la debole crescita della produttività e il rallentamento della correzione degli squilibri macroeconomici dell’Italia, l’elevato debito pubblico, la disoccupazione di lunga durata e quella giovanile ancora alte nonostante il graduale miglioramento del mercato del lavoro, il calo accentuato degli investimenti a causa della crisi e infine il fatto che, data la sua importanza sistemica, l’economia del nostro Paese è una fonte di potenziali ricadute sul resto della zona euro. Conclusione questa, nota Paganetto, “particolarmente importante che testimonia il clima di opinione di Bruxelles sull’economia italiana”.
MANOVRA E NODI DELL’ECONOMIA
Ora, preso atto del “carattere limitato” della manovra che risponde perlopiù “a un approccio di breve periodo”, rimangono alcuni nodi: riportare la crescita del Pil alla media Ue (nel 2017 rispettivamente all’1,5% e al 2,3%), recuperare la capacità produttiva del 2008 (“l’iniziativa del Governo su Industria 4.0 è assai opportuna e sta cominciando a dare i primi risultati”) e i livelli di disoccupazione e di investimenti precedenti alla crisi. Stesso discorso per quanto riguarda il reddito pro-capite e il benessere della popolazione. Senza dimenticare di far tornare il Mezzogiorno “una questione nazionale”. “In questo quadro – sottolinea il presidente della Fondazione Economia Tor Vergata – diventerebbe credibile una scelta motivata a favore della riduzione del debito pubblico”.