Sembra un paradosso o nella peggiore delle ipotesi una battuta uscita male e che richiama altri, penosi, nodi irrisolti. Ma il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, rischia di ridurre l’enorme, annosa questione mediorientale a un problema di meri riconoscimenti, dove Gerusalemme est, rischia di fare la fine di Cipro Nord, ossia riconosciuta solo da una parte di mondo, ma con conseguenze moltiplicate all’ennesima potenza, e dove l’Unione Europea dovrebbe continuare a tenere la posizione di equidistanza che ha mostrato finora. Perché seguire il capo di Stato di Ankara su questo percorso può risultare utile in termini di pace interna dei singoli Stati, ma deleterio per i futuri assetti del Mediterraneo e mondiali.
Il presidente turco, con questa mossa, si schiera nettamente contro gli Usa. E ha tre buoni motivi per farlo. Il primo è compattare il blocco musulmano, più o meno conservatore e osservante, ma per il quale la chiamata agli scudi contro Israele ha un potere coalizzante certo e senza pari. Il secondo è una vera e propria consacrazione come alfiere della causa palestinese (che ha un connotato decisamente anti-israeliana/anti-semita) e guida morale del suddetto blocco, non importa se di matrice sunnita o sciita. Il terzo, è che così Erdogan dimostra a Mosca e a Teheran di essere ancora più allineato sul loro asse, con una matrice schiettamente anti occidentale e tutte le opportunità di carattere economico che ne derivano.
Insomma, nel caso ce ne fosse bisogno, la Turchia ha dimostrato di non essere più l’alleato fedele su cui si poteva contare. La presidenza Trump, alla quale possono essere imputati molti errori, può almeno assumersi il merito di aver messo a nudo questo aspetto. Il numero uno di Ankara, all’inizio del nuovo corso a Washington, aveva provato a stabilire relazioni positive e proficue, che per Erdogan equivalgono sempre a ottenere quello che lui chiedeva. In questo caso, accordo su una limitazione dei curdi-siriani nel nuovo assetto post guerra civile e silenzio su traffici con l’Iran che avrebbero messo il presidente turco in cattiva luce con il suo elettorato e la comunità internazionale. Ma la Casa Bianca ha detto no e, come sempre, è arrivata la vendetta. Per di più su un argomento che a Erdogan sta particolarmente a cuore e sul quale lavorava da tempo.
La giornata di oggi verrà ricordata come quella che ha spaccato in due Oriente e Occidente e forse anche il Mediterraneo. Sembra quasi una contraddizione, visto il ruolo di secondo piano ricoperto nelle crisi recenti. Ma l’ultima parola di questa faccenda, in qualche modo spetta all’Europa. Gli esponenti di due grandi blocchi hanno già preso posizione su questo argomento. Gli Stati Uniti, con la loro decisione unilaterale. L’Organizzazione della cooperazione islamica con la decisione di oggi. Ora è necessario che Bruxelles stia nel mezzo e cerchi di mediare il più possibile, provando a tradurre una situazione difficile in un’opportunità. Trovando una difficile ma giusta via in una questione spinosa, non risolvibile in azioni unilaterali, dall’una e dall’altra parte, pensando non solo alle due capitali, ma soprattutto a chi in quei luoghi ci vive e a chi di quella causa di vorrebbe servire per altri scopi.