Sul Sole 24 ore, Chiara Bussi ci ricorda i “cinque vincoli di Bruxelles sul nuovo governo”. L’articolo è una vera e propria agenda, che senza entrare nel “come” ricorda il “cosa” ci siamo impegnati a fare. Ed in parte abbiamo fatto.
Fa bene il Sole a ricordare gli impegni presi in Europa dall’Italia, perché l’Italia al di fuori dell’Europa non ha futuro. Non a caso Dino Pesole sullo stesso quotidiano riportava i “possibili spazi di manovra” nella “partita con la Ue”.
È infatti dentro l’Unione che l’Italia deve portare il suo peso politico e contribuire a definire una nuova politica europea che dia più spazio all’innovazione, alla Pmi e all’istruzione. Da soli siamo troppo piccoli per poter essere interessanti ed ascoltati nel mondo dove ci confrontiamo con Cina, Usa, Brasile, India.
Nel frattempo, mentre cioè pensiamo a dare una spinta riformista all’Europa, dovremo confrontarci con un piano di riduzione del debito da porre in essere dal 2015 (parte del Cd six pack in vigore da gennaio) e entro il 15 ottobre con la manovra che preventivamente dovrà essere inviata a Bruxelles (come previsto dal Two pack).
Le due cose (politica europea e rispetto dei trattati) vanno viste insieme, perché non possiamo ipotizzare di non reindirizzare tutta l’Europa verso politiche di crescita e sviluppo e sostenere il peso del rilancio della nostra economia con le sole politiche nazionali non coordinate con gli altri Paesi con cui condividiamo la moneta (e il destino).
La stessa Europa ce lo chiede: l’”Analisi annuale della crescita 2013″ adottata il 28 novembre 2012 dalla Commissione Ue ha affermato la necessità di un risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita (con priorità su istruzione, ricerca, innovazione ed energia).
Ora l’Europa riuscirà a tradurre questi intenti in politiche? Dipende anche, ma non solo, dall’impegno italiano. Non occorre chiedere sconti o inventare regole (da eludere), ma passare in fretta ad un vero e proprio assetto federale del bilancio, con talune competenze di spesa portate a livello Europeo ed integrate a livello nazionale.
La strada è tracciata da tempo. Cosa proporre?
Primo: impegnamoci per arrivare ad una banca europea per il credito alle Pmi e per una legislazione che – sulla falsariga della Small Business Administraction e del relativo Act statunitense – assicuri una quota di appalti pubblici alle piccole imprese e che favorisca l’internazionalizzazione delle eccellenze produttive europee.
Secondo: assicurare i finanziamenti necessari a creare una rete europea di centri di ricerca nazionali per favorire la ricerca e l’innovazione tecnologica dell’Unione.
Terzo: utilizzare i fondi europei per favorire l’inserimento di laureati nelle imprese finanziando i primi due anni di salario.
Quarto: avviare programmi europei di innovazione nell’agricoltura, assicurando il necessario livello di finanziamento.
E la riduzione del debito? La cura è la maggiore crescita in Europa, attuale e potenziale! Non illudiamoci, infatti, di ridurre il debito con le sole privatizzazioni, ammesso che qualcuno compri in un continente in declino. Se non viene data una prospettiva di crescita all’Europa, il solo bilancio in pareggio assicura solo diseguaglianze sociali e l’impoverimento della nostra economia.