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Così l’Europa studia come vietare la pornografia

Il Parlamento europeo esprimerà martedì il suo voto su una proposta che potrebbe portare ad un divieto generale della pornografia in tutte le forme di media ed avere pertanto implicazioni di ampio respiro per la libertà di espressione.

Il report, presentato alla fine dell’anno scorso al Comitato parlamentare europeo sui Diritti della Donna e per l’Eguaglianza di genere dalla deputata olandese del Partito socialista, Kartika Tamara Liotard, si intitola “Eliminare gli stereotipi di genere nell’Ue”. In una sezione del rapporto, Liotard invita l’Unione europea a far rispettare un divieto generale di pornografia nei media dei 27 Stati membri, che potrebbe prevedere anche la pornografia on-line.

A difesa delle donne
Il provvedimento permetterebbe all’Ue di proteggere in maniera speciale i diritti delle donne. La relazione infatti afferma che vi è una “tendenza sempre più evidente a mostrare donne vestite in modo provocante”, e che la pornografia “scivola nella nostra vita di tutti i giorni come qualcosa di universalmente accettato”.

Contro le libertà civili
Se adottata la proposta potrebbe violare però alcune libertà civili dei 500 milioni di cittadini dell’Unione. E a mostrarsi molto critico a riguardo è Christian Engström, membro del Parlamento europeo (MEP) per il Partito dei Pirati, il quale avverte sul suo blog che il riferimento a ogni mezzo di informazione includerebbe senza dubbio anche il Web, mail e social media, denunciando inoltre una certa vaghezza del documento riguardo ad una puntuale definizione dei mezzi di comunicazione a cui intende riferirsi il documento.

I punti salienti
Nel report si “invita l’UE e gli Stati membri a dare un seguito concreto alla risoluzione del Parlamento europeo del 1997 che chiede il divieto di tutte le forme di contenuti per adulti nei mezzi di informazione e della pubblicità del turismo sessuale”.
E ancora al punto 14 si “sottolinea che una politica di eliminazione degli stereotipi nei mezzi di informazione richiede necessariamente un’azione in ambito digitale; ritiene, a tal fine, che sia necessario avviare azioni coordinate a livello europeo nell’ottica di sviluppare una vera cultura della parità su Internet; invita la Commissione a elaborare, in partenariato con le parti interessate, una Carta che tutti gli operatori del Web sarebbero invitati a rispettare”. Inoltre il punto 14 suggerisce che qualsiasi tipo di contenuto a sfondo sessuale sul web, anche in piattaforme aperte come per esempio Twitter, potrebbe essere cancellato. Per finire il punto cruciale su cui si sofferma il sito specializzato Cnet : “Esorta gli Stati membri a istituire organismi di regolamentazione indipendenti al fine di controllare il settore dei media e della pubblicità e il mandato di imporre sanzioni efficaci alle imprese e ai singoli che utilizzano in modo discriminatorio l’immagine della donna”.

Proteste via mail censurate?
Che la notizia destasse stupore era inevitabile e puntuale giunge dallo stesso Engström una denuncia: “Il dipartimento IT del Parlamento Europeo sta bloccando il recapito di email sull’argomento, dopo che alcuni membri del Parlamento si sono lamentati per aver ricevuto messaggi dai cittadini”. Le proteste via email dei cittadini sarebbero dunque state censurate dal Parlamento Europeo attraverso alcuni filtri per evitare il loro recapito. A  riportare l’accaduto è il sito Blogo il quale dichiara che “se confermato segnerebbe sicuramente un bruttissimo episodio nel dialogo tra i cittadini europei e chi li rappresenta a Bruxelles”. Il provvedimento è stato visto da Engström come un “assoluto disonore”, e nel suo post il politico anticipa l’invio di una lettera al presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, per metterlo al corrente della “pratica totalmente antidemocratica”.

 


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