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Il grande gioco in Siria. L’analisi di Valori

La Nuova Siria che si sta riconfigurando in questi giorni sarà, comunque vada, il punto di frattura da cui nascerà il nuovo Medio Oriente, dal quale non saranno però più emarginati la Federazione Russa, la Cina popolare e, nemmeno, gli Stati Uniti. Chi pensa, oggi, a una ripetizione della Guerra fredda sulle rive dell’Eufrate si sbaglia di grosso. Mosca non vuole in nessun caso l’espulsione degli Usa dal quadrante mediorientale; ma solo la loro riduzione di rango, come la Cina, poi, che ha già sue truppe in Siria che addestrano particolari gruppi dell’esercito arabo siriano di Assad, mentre Xie Xiaoyan sta girando buona parte del mondo arabo impegnato nel conflitto siriano per proporre Pechino come problem solver locale e regionale. Inoltre, il regime cinese ha già infiltrato alcune unità specializzate nella controguerriglia proprio in Siria, dirette al contrasto e all’eliminazione dei jihadisti di origine cinese di quell’area. Insomma, Putin vuole tutti i “diritti di passo” nella Grande Siria, vuole inoltre esserne il mediatore centrale, far entrare poi la Cina, anche per la prossima ricostruzione, ma pensa anche ad una inclusione secondaria degli Stati Uniti e, soprattutto, all’obiettivo centrale russo: al mantenimento dell’unità del suo territorio e del regime alawita.

IL RUOLO DEGLI USA

Il portavoce del Pentagono ha annunciato, il 5 Dicembre scorso, che gli Usa “rimarranno in Siria fino a quando ne avremo bisogno per sostenere i nostri partner e per prevenire il ritorno dei terroristi”. Inoltre, e l’osservazione non è inutile, gli Usa ritengono che sia stata del tutto secondaria la partecipazione della Russia e di Assad alla liberazione del territorio siriano. In altri termini, gli americani vogliono ancora ridisegnare il territorio siriano, cantonalizzarlo secondo linee di faglia religiose e etniche, talvolta magari fantasiose, e così dominare con poca spesa, e con il controllo delle varie milizie tra di loro, su un vasto e importante territorio. Si è visto infatti come è andata nei Balcani.

Sarà su questo nuovo scontro, precipuamente politico, che si giocheranno i destini di Damasco e della parte territoriale del Grande Medio Oriente. Sono questi quei bordi geopolitici tra Golfo Persico e Mediterraneo che saranno il territorio-ponte di molti importanti fenomeni politici futuri: l’espansione iraniana al centro dell’Asia, nelle sue zone sciite, il collegamento tra Golfo e Mare Nostrum come asse per la Belt and Road Initiative di Pechino, il messo strategico tra Russia, Egitto e, in futuro, la sua presenza nelle basi “dell’operazione Dignità” di Haftar in Libia. Tutto questo si sta scrivendo, ora, in Siria.

Ma vediamo alcuni altri dati: le forze Usa con i loro 15 alleati, e altri loro 4mila commandos di stanza nel Nord Siriano, sono posti tra le aree curde per controllare ed eventualmente distruggere l’asse in fase di costituzione, quello da Teheran a Raqqa e dalla antica “capitale” del califfato verso Beirut, la “centrale” di Hezb’ollah. Una “continuità sciita” che Washington ritiene il nemico n. 1 nell’area. Anche i turchi peraltro non accetteranno mai una presenza della repubblica iraniana in Siria, ma intanto, proprio mentre scrivo, stanno “ripulendo” la zona di Afrin, il luogo di partenza della loro prossima espansione interna nell’area, dai curdi dell’Ypg. Altra ipotesi per spiegare il fenomeno del posizionamento Usa-curdi: gli Stati Uniti vogliono creare una linea che chiuda l’asse Iran-Libano-Siria ad ogni ipotesi di attacco sciita ad Israele. E quindi, indirettamente, gli Usa vogliono favorire l’accordo Israele-Sauditi. Ma Gerusalemme sa che l’economia di Riyadh, malgrado tutto, non è ancora risanata e che una economia nazionale periclitante non può mai tenere a lungo uno scontro bellico. Inoltre, Israele sa bene che un accordo con la Russia può utilmente e credibilmente bloccare un eventuale assalto di Teheran.

LO SPETTRO IRANIANO

Né gli israeliani accetteranno mai una stabilizzazione di qualsiasi unità militare iraniana su terra siriana. Anche la linea Teheran-Raqqa-Beirut di cui parlavamo può diventare, ipotizzano a Gerusalemme, una rapida linea di trasporto per i missili, si calcola circa 100mila, a disposizione del “partito di Dio”. Ma ora, può darsi, la strategia globale in Siria di Teheran può apparire pericolosa sia per i russi per che gli stessi siriani. Mohammad Bagheri, il Capo di Stato Maggiore delle FF.AA. iraniane, ha annunciato che l’Iran vuole costruire una base navale in Siria. Un evidente pericolo per i russi: la loro base nel Mediterraneo di Tartus, recentemente ampliata, viene così messa sotto controllo da una potenza alleata sì, ma estranea. Ora poi che il regime di Bashar el Assad si è rafforzato, oltre che stabilizzato, Teheran mostra di avere qualche interesse in più al normale rapporto bilaterale. Né poi agli iraniani sono mai piaciuti i confronti di Astana, mirati a far cessare il conflitto in Siria e a far ritornare Washington nell’area, non come primus inter pares, ovviamente, ma come partner di un progetto multipolare, ma, ancora, i russi vogliono costringere gli Usa ed essere multipolari: è come obbligare Donald Trump a indossare un tutù rosa. Né la Russia da sola può poi sperare di finanziare da sola un costo della ricostruzione che oggi, ottimisticamente, si aggira sui 250 miliardi di usd, forse nemmeno con l’aiuto della Cina che di soldi ne ha tanti, è vero, ma non ha alcuna intenzione di metterli tutti in un solo canestro, per dirla con un vecchio modo di esprimersi americano.

IL PUNTO FERMO DELLA RUSSIA

Mosca infine non vuole crocifiggersi più in Siria anzi, se non ricordo male, l’unico mistico islamico sufi che si fece crocifiggere, però a Baghdad, nel 922 d.C. fu Al-Hallaj, il veggente-poeta. Che fu appassionatamente studiato da Louis Massignon, il ridisegnatore del Medio Oriente ai tempi del Trattato Sykes-Picot, Egli che pure creò il dominio alawita nella Siria francofona, forse credendo di ritrovare un po’ di Al-Hallaj nella prassi islamica di quella setta. Quindi, Putin vuole campo libero per proteggere la sua base di Tartus, che diventerà l’asse della futura espansione marittima di Mosca nel Mediterraneo; e nemmeno vuole la base degli iraniani tra le scatole, a far arrivare nel mare siriano tutti i vettori militari delle Marine Nato, allertati da quelli di Teheran. La Forza Navale iraniana prima entrerebbe nel Mediterraneo, poi controllerebbe il mare davanti a Beirut, poi naturalmente si rivolgerebbe a Israele e poi, uno dopo l’altro, inizierebbe a creare minacce contro i vari Paesi sunniti rivieraschi.  Oppure, altra ipotesi che circola nei gruppi vicini a Khamenei, l’Iran potrebbe costruirsi un’altra base, forse sottomarina, tra Cipro o alcune isole del Dodecanneso. Nessuna delle due variabili piace a nessuno dei quattro players: Russia, Turchia, Israele, Egitto. In Siria, Teheran ha sostenuto poi il regime di Bashar al Assad in molti modi: l’obbligo stesso fatto ad Hezb’ollah di entrare nella mischia, subito nel 2012, 9200 uomini dei Pasdaran, la fornitura di armi a due gruppi sciiti locali, soprattutto a quello Kata’ib al Imam Ali, il reclutamento di volontari sciiti dall’Afghanistan e dal Pakistan, che andranno a costituire il Fatemiyon e le brigate Zaynabiyun, con i salari del volontari che andavano dai 1000 Usd al mese fino ai 5mila.

L’Iran aveva questi scopi per il suo intervento in Siria: a) l’eliminazione del Daesh-Isis, ovviamente, b) il ritorno allo status quo ante, c) il mantenimento delle istituzioni, le loro, che non avrebbero certo retto ad una vittoria sunnita nel Paese vicino e amico. Ha raggiunto questi obiettivi? Sì. Attualmente, nessuno può, o magari vuole, mandar via Assad dal potere. È stato, all’inizio, il mito unificante del sunnismo califfale turco, l’eliminazione di Assad, quando Erdogan tuonava contro di lui inneggiando alla sua impiccagione, pur senza mai nominarlo esplicitamente. Tutti, salvo Mosca, hanno accarezzato il sogno della destabilizzazione della Siria. Da questo punto di vista, tutti, salvo i russi, hanno perso.

Trump ha fatto cessare, da un momento all’altro, un programma della Cia finalizzato ad addestrare gruppi di terroristi unicamente finalizzato ad uccidere Assad. Pessima ripetizione del ridicolo elenco di stratagemmi per uccidere Fidel Castro. Gli Usa ora continuano, unica politica concreta nell’area, a sostenere i curdi che, con le loro tradizionali organizzazioni militari, hanno combattuto il “califfato” e si sono presi un quarto del territorio. Lo faranno fin quando penseranno ad una nuova guerra su quel territorio, in sostegno ai sauditi o agli israeliani. Sarà infatti un altro problema futuro controllare le tensioni turche sulla presenza curda in Siria, altro concreto obiettivo per frazionare Damasco. Che, prima o poi, verrà usato. Ora la Turchia pensa appunto ai curdi, non si interessa più del potere interno in Siria. Peraltro, la stessa grande operazione politico-militare dei russi, con cessate-il fuoco tra i “ribelli” e le forze governative su tutti i fronti, compreso quello di Idlib ancora in gran parte in mano ad “Al Nusra”, ha permesso ai siriani e agli iraniani di concentrarsi nel combattere lo “stato islamico” a sud. Mossa perfetta. Poi, dopo i primi ritorni alla base dei soldati russi operativi in Siria, mentre appunto ritornano le Forze aerospaziali e molte delle Forze speciali di Mosca, rimarranno sul terreno, in Siria, i “contractors” russi, per proteggere gli oleodotti, anche se per la legge russa è proibito, per un cittadino federale, la costituzione di un gruppo di “guerra privata”. Sarà la classica sostituzione tipica della guerra contemporanea: vanno via i soldati “regolari”, arrivano i contractors. E ora comincia la trattativa per la ricostruzione siriana. Che seguiremo con particolare interesse.



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